Un brano che aiuta a credere a Gesù risorto: Gv 11
Un episodio del Vangelo che mi ha sempre aiutato a credere in Gesù Risorto è quello della Risurrezione di Lazzaro.
Marta rimprovera il Maestro che non era presente alla morte del fratello di cui era amico. Gesù le dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo? Gli rispose: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11,17-27).
Scriveva lo scrittore francese F. Mauriac: “Nessuno di noi conosce né il giorno né l’ora in cui il sole si spegnerà per lui e la luna avrà finito di baciare gli incanti della sua infanzia, e le stelle spariranno tutte insieme nella immensa tenebra che si rinserrerà su di lui”. (F. Mauriac, Vita di Gesù).
La morte è il termine ultimo della nostra vita terrena come lo è stato per Lazzaro ma abbiamo bisogno di sperare anche per dare un senso a tutto.
Rodion Romanovič Raskol’nikov, il protagonista del romanzo Delitto e Castigo si macchia di un duplice efferato omicidio del tutto premeditato. Uccide un’avida vecchia usuraia e la sua più giovane e mite sorella. Dopo molte avventure incontra per caso Sònja, un’anima pura, pervasa da una fede sincera e profonda, costretta però a prostituirsi per mantenere la matrigna tisica e i fratellastri. Raskol’nikov, mentre è in casa della ragazza, prende “un libro vecchio, molto usato, rilegato in pelle”.
È il Nuovo Testamento donato a Sònja da Lizaveta, uccisa dal giovane a colpi di accetta.
“Dov’è il passo di Lazzaro? – chiese all’improvviso. Sònja guardava ostinatamente a terra e non rispondeva. Stava un po’ di sbieco, verso il tavolo. – Quello della risurrezione di Lazzaro, dov’è? Cercamelo, Sònja” (Fёdor Dostoevskij, Delitto e castigo, pag.404 – 410).
Sònja legge il passo “distintamente e con forza, come se stesse facendo lei stessa una pubblica professione di fede”. Raskol’nikov la guarda in gesto di sfida, vuole ritornare all’innocenza della propria infanzia ma rimane nella propria disperazione. Il delitto e il castigo chiudono la sua vita.
Michele, uno dei tanti personaggi che popolano il romanzo La Ciociara di Alberto Moravia, legge un passo del Vangelo: la resurrezione di Lazzaro. Tutti manifestano una noia mortale. Eppure Michele ci mette tutta l’anima per far capire di cosa si tratti. Nel corso della lettura si mette anche a piangere. Qualcuno pensa che sia il fumo della stanza ad infastidirlo. Qualcun altro pensa agli affari suoi. Rendendosi conto della noia e dell’indifferenza dei contadini, il giovane reagisce con durezza: “macché fumo, io non vi leggerò più perché voi non capite ed è inutile cercare di far capire a chi non potrà mai capire, leggendo la storia di Lazzaro ho parlato di tutti voi e anche di me stesso e di mio padre e di Severino con le sue stoffe e degli sfollati, siete tutti morti, siamo tutti morti e crediamo di essere vivi, finché crederemo di essere vivi perché ci abbiamo le nostre stoffe, le nostre paure, i nostri affarucci, le nostre famiglie, i nostri figli, saremo morti” (A. Moravia, La Ciociara, pag. 124).
La morte e la risurrezione di Lazzaro sono il compendio della mia fede. Non solo riferimenti alla letteratura alta ma anche scampoli d’adolescenza trascorsi nella campagna morrovallese. Al Sabato Santo le campane ritornavano a suonare festose. Noi ragazzi facevamo le capriole sui prati inondati dai primi fiori della Primavera. Era una manifestazione ingenua e spontanea per partecipare alla Risurrezione. Lungo i fossi, imbevuti d’acqua cristallina, nascevano piccole piante grasse. Raccolte a mazzetti, le portavamo a casa.
Le campanule, tanti piccoli tubicini attaccati allo stelo, avevano la proprietà di colorare l’uovo di Pasqua che prendeva colorazioni diverse, dall’azzurro al violaceo, al rosso, a seconda della maturazione del fiore, ma anche a seconda della cottura dell’uovo sodo. •