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Dire tanto… tanto per dire…

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Quando le parole sono disconnesse dalla realtà.

Questo tempo a volte vive un paradosso nell’uso e abuso delle parole: si omette l’essenziale dicendo l’inutile o l’inopportuno, si dice troppo non rispettando il necessario segreto o la riservatezza, si dice tanto per non dire nulla. Questo è il rischio che a volte corre anche la comunità cristiana, nella vita dei suoi organismi di partecipazione. Vale la pena ricordare a noi stessi tre aspetti per l’uso delle parole, tenendo presente che esse hanno un peso: possono aprire il cuore e la mente o sono pietre che possono ferire.
Prima di tutto le parole che aiutano la vita devono essere cariche della verità: non possono esaurirla, spiegarla totalmente, ma devono rispettarla e indicarla.
Questo è anche il senso dei verbali che dovrebbero chiudere e aprire i vari incontri dei nostri Consigli. Essi non sono in grado di dire tutto ma devono trattenere ciò che è importante, rispecchiare come si è svolto un dialogo e un confronto, permetterci di ricostruire le diverse prospettive che sono emerse e il percorso di pensiero che conduce a certe decisioni.
Solo così essi stimolano oggi il nostro pensare, agire e verificare e permetteranno domani la ricostruzione storica fedele di tratti di percorso delle nostre Chiese locali e delle nostre comunità parrocchiali.
In secondo luogo le parole “vere” presuppongono un essere pacificato, una sintonia tra mente e cuore. Ciò rende proficuo il confronto all’interno di un organismo di partecipazione, diversamente usciamo dall’ennesima “riunione” con la consapevolezza di aver perso tempo e di non aver detto nulla di nuovo e di utile.
Nell’Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia” Papa Francesco ci ricorda alcuni punti essenziali per un vero dialogo, importanti in famiglia ma validi anche per le comunità (136-141): il dono del tempo necessario per potersi esprimere con chiarezza, l’ascolto dell’altro finché egli non ci abbia detto ciò che per lui è importante comunicarci, la flessibilità e dinamicità del pensiero, un contesto di premura e di cura in cui si scambiano le parole, avere qualcosa da dire. Proprio quest’ultimo aspetto ci conferma come la cura della propria interiorità sia essenziale perché diventi la sorgente di parole fedeli alla verità nella carità, incapaci di ferire le persone, con la forza di avviare processi.
In terzo luogo non va perso il legame tra parola e silenzio.
Il silenzio avvolge la Parola di Dio che si accinge a creare, che si fa carne, e anticipa l’annuncio della Pasqua.
Il silenzio è il grembo fertile di ogni parola che vuole essere feconda, è la forza dello spirito che sa trattenere ogni parola che può ferire, è l’indicatore di certi confini che non possono essere oltrepassati.
Esiste anche il segreto nella vita dell’uomo, e a chi entra a far parte di un organismo di partecipazione parrocchiale è chiesta una virtù essenziale, anche se oggi sempre più rara: la discrezione.
La vita degli altri va accolta e custodita come mistero, non resa oggetto sul mercato del gossip. •

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