Spottare vuol dire insultare

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Quel che sorprende, ancora una volta, è il paradosso che esplode fra il mezzo supertecnologico e l’antica e odiosa tendenza alla maldicenza. Le “pasquinate” delle pagine spotted spesso creano delle fratture insanabili fra gli adolescenti e danni psicologici; alcune situazioni hanno portato le famiglie alla decisione di sporgere denuncia alla polizia postale.
Il fenomeno non è recentissimo, ma negli ultimi mesi sta dando il meglio (o il peggio?) di sé. Si tratta della nuova tendenza in voga fra giovani e giovanissimi, e cioè “spottare” sui social.
I primi a “spottare” sono stati gli studenti londinesi della facoltà di informatica della ULC – University College London. Nel 2010 uno di loro creò un sito dove commentare, assieme agli altri colleghi di facoltà, le ragazze incontrate in giro per il campus. Sulla pagina web gli studenti scrivevano annunci del tipo: “Ieri in biblioteca ho spottato la ragazza tal dei tali…”. Magari poi ci scappava anche un appuntamento galante.
Qui il termine “spottare” è utilizzato col significato di “avvistare”. “Sei stato spottato”, quindi, vuol dire “sei stato avvistato”. Ma non solo.
Col tempo, infatti, il fenomeno è dilagato. Le pagine spotted si sono diffuse in maniera virale ed è iniziata la, ahimé, prevedibile degenerazione. Infatti l’anonimato, che viene garantito dagli amministratori dell’account (anch’essi anonimi) a chi decide di pubblicare un post sul profilo spotted, ha consentito (e consente) sproloqui di ogni tipo. E dalla ricerca della donzella perduta, passando attraverso le dichiarazioni d’amore disperate, si è finiti facilmente nel campo della diffamazione e del becero pettegolezzo. Nonché sotto l’etichetta di quello che viene definito cyberbullismo.
Così sui profili spotted di ogni scuola si sono subito dati appuntamento gli hater della rete e hanno aperto le danze sputando veleno su studenti, professori e operatori scolastici. La questione ha assunto in qualche caso i contorni della maldicenza spinta. Ci sono stati outing su presunte (o vere) omosessualità, denunce di amori clandestini o attacchi spietati alle persone su difetti fisici o questioni molto personali.
Le pagine spotted non rappresentano l’unico canale della maldicenza. Ci sono addirittura delle applicazioni dedicate alle esternazioni anonime come sarahah e thiscrush.
Le “pasquinate” delle pagine spotted spesso creano delle fratture insanabili fra gli adolescenti e danni psicologici; alcune situazioni hanno portato le famiglie alla decisione di sporgere denuncia alla polizia postale. Nei casi limite si è giunti perfino a gesti estremi. Quel che sorprende, ancora una volta, è il paradosso che esplode fra il mezzo supertecnologico e l’antica e odiosa tendenza alla maldicenza. La calunnia continua a essere “un venticello”, come recita la famosa e sempre attuale aria del Barbiere di Siviglia di Rossini “un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente, incomincia, incomincia a sussurrar…”.
Cambiano i tempi e cambiano i mezzi, ma purtroppo la tendenza a esser “comare di paese” non scompare anzi si insinua anche fra i giovanissimi, a testimoniare che siamo ancora al principio del cammino evolutivo e incastrati sempre negli stessi maledetti clichè. Peccato che la risonanza comunicativa del mezzo tecnologico non incoraggi un utilizzo più gratificante, per chi scrive e chi legge.
Abbiamo ancora tanto bisogno di “educazione”. Educazione all’uso dei social media, al rispetto (come ci ha ricordato all’inizio dell’anno scolastico la ministra dell’istruzione Fedeli), alla civile convivenza… Ma soprattutto manca il fondamento umano in questo nostro progresso, troppo concentrato sulla modernità dei mezzi e poco o quasi niente sull’umanesimo dei contenuti.
Leopardi direbbe che un progresso distorto, senza umanità, “lacera il sipario delle illusioni, cosicché l’uomo moderno si trova indifeso davanti al male”. Più indifeso di prima. •

Silvia Rossetti

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