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Droga, scuola, famiglia

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Temi scottanti su cui la politica non può più tergiversare

“Il problema della droga, al centro di tanti drammi, soprattutto tra i giovani, unisce molti immigrati e italiani che spacciano e consumano droghe”. Lo ha detto Giorgio Torresetti, docente aggregato di Filosofia del diritto presso l’Università di Macerata, nell’ambito di un incontro che si è tenuto mercoledì 21 febbraio 2018 alle 21,00 al teatro “Don Bosco” di Macerata, promosso dal Circolo del Villaggio in collaborazione con la Pars, Acudipa, la fondazione San Riccardo Pampuri e l’associazione Ut Re Mi Onlus (www.cronachemaceratesi.it 22.02.2018). L’occasione del dibattito, come si può ben capire, è stata data dal dramma che ha sconvolto Macerata e non solo per l’orribile morte di Pamela Mastropietro (30 gennaio 2018), ricordata con un minuto di silenzio prima degli interventi. Macerata, da tranquilla città di provincia, si è ritrovata a essere all’improvviso quasi l’ombelico del mondo e al centro del circolo mediatico e punto di riferimento per le forze politiche a seguito dell’altro fatto altrettanto increscioso: il folle raid razzista compiuto da Luca Traini che ha individuato negli uomini e donne di colore la causa di tutto. Antonio Polito, vicedirettore de Il Corriere della Sera, presente alla serata, ha parlato della famiglia e sull’educazione dei figli ha detto: “La scuola sembra aver abdicato al ruolo di formatrice culturale per diventare agenzia di collocamento, che non boccia mai. I genitori tendono ad avere paura di agire, temono il conflitto, non si propongono come figure educative e di esempio nei confronti dei figli. Preferiscono il punto di vista di tanti psicologi che trattano il dolore di vivere come una malattia da guarire, invece che come un’opportunità” per costruire un rapporto educativo.
La scuola ha rinunciato al suo ruolo educativo.
“Istruire e educare sono due aspetti di un unico problema”. Quanti tra dirigenti scolastici e professori sottoscriverebbero oggi questo pensiero di don Milani? Nessuno. Chi educa colui che educa, mi diceva con un aforisma un collega conosciuto nei miei primi anni di insegnamento nel milanese. Veniva dalle barricate del sessantotto. Aveva molto da rimproverarsi sul facile sociologismo di moda in quegli anni. Affermava serenamente che la ricreazione fosse finita, dopo averla appoggiata e servita. Gli alunni, diceva, erano tutti dei debosciati. Non si chiedeva per niente se lui stesso e i suoi compagni, che erano saliti sulle barricate, avessero qualche colpa.
I decreti delegati del 1974, che esistono tuttora e avrebbero bisogno di una riforma, indicavano nella gestione sociale della scuola la chiave di volta di tutto il sistema scolastico. Per un po’ di tempo si è tentato di coniugare assieme i legittimi diritti dell’individuo con quelli della società ma la stagione è durata poco. Ha prevalso in molti la convinzione, prima strisciante poi sempre più manifesta, che il principio era utopistico. Meglio era interessarsi dell’alunno. L’istruzione soltanto diventava il motore e la preoccupazione di docenti e presidi. Qualcuno dall’animo tenero, per non lasciare nulla d’intentato, parlava di sinergie di forze tra scuola e altre agenzie educative. Tutto rimaneva nell’immobilità più assoluta. Ma la storia galoppa. Oggi, la scuola, mi diceva un’insegnante che è stata per anni mia collega nella stessa scuola, è diventata una sorta di “Progettificio”, un luogo dove si elaborano progetti. C’è quasi una gara tra scuole a chi ne fa di più. Nelle settimane successive ai due drammi, ricordati sopra, ci soni stati nella cittadina marchigiana manifestazioni e cortei durante i quali è stato detto che Macerata è liberata. Liberata da cosa? Dal Fascismo, è stata la risposta. Questo, storicamente, è successo nel giugno del 1944, quando le truppe tedesche abbandonarono la città, raggiunta dalle formazioni partigiane e il giorno dopo, al primo luglio dello stesso anno, dai reparti del CIL (Corpo Italiano di Liberazione).
“Macerata! L’attraversammo anche noi; era il pomeriggio del primo luglio e il solleone incombeva sfolgorante sulle case di un bel colore mattone, lavorato dal tempo e sulle strade colme di silenzio. Ad una sosta della colonna, un vecchio venne di corsa al nostro autocarro; reggeva un prosciutto ed un gran pane fresco. La gente era a noi cara perché ci accoglieva con sincere manifestazioni di gioia e, lungo le strade, ci stringeva la mano con amicizia e ci ringraziava commossa, perché per liberare la loro città, esponevamo la nostra vita“ (E. Corti, Gli ultimi soldati del re, pag. 142). Certo, l’antifascismo è un valore, come lo è la manifestazione contro ogni forma di razzismo e d’intolleranza. Ma da soli non bastano, anzi sono riduttivi.
Oggi, Macerata, tutte la Marche e l’Italia intera devono essere liberate dalla droga che, a detta di molti, scorre a fiumi. Pakistani, Albanesi, Nigeriani si contendono il mercato. Dietro, dicono in molti, c’è anche la mafia italiana. Più di duemila anni fa, il pagano Cecilio scriveva che “Solo le cose oneste meritano la luce del sole e si nascondono unicamente quelle disoneste”. Oggi la disonestà è diventata la norma della vita sociale. Lo spaccio della droga avviene alla luce del sole. Lo testimoniano chiaramente inchieste televisive, convegni e non solo. “Se la vita è un bel dono di Dio, non va buttata via e buttarla via è peccato. Se un’azione è inutile, è buttar via un bel dono di Dio. E un peccato gravissimo, io lo chiamo bestemmia del tempo. E mi pare una cosa orribile perché il tempo è poco, quando è passato non torna” (don Milani). Quanti maestri e genitori sottoscriverebbero quest’altro pensiero di don Milani?
“Il solo modo di dare un senso alla orrenda morte di Pamela Mastropietro è riflettere sull’accaduto”. A parlare è Salvatore Giancane, direttore del Sert di Bologna, autore fra l’altro di Il mercato globale dell’eroina dall’Afghanistan all’Adriatico. Un capitolo è dedicato al mercato dell’eroina in Italia, soprattutto lungo l’Adriatico, dove “l’indice di mortalità per droga è più alto di quindici volte rispetto alla media”, per esempio nelle Marche. Il mercato della cocaina, prospero e ricco, è controllato dagli italiani, quello dell’eroina da mafie straniere: “Prima albanesi, poi pakistani. Ora i nigeriani combattono per impossessarsene”. Lo ripete l’avvocato Giuseppe Bommarito, un figlio morto per overdose, fondatore dell’Associazione Con Nicola – oltre il deserto d’indifferenza, che nel 2016 ha pubblicato su Cronache Maceratesi l’articolo “Maceratistan” in cui ricostruisce la crescita dei sequestri di eroina nella sua città e nella provincia per opera di pakistani con permesso di soggiorno e attività legali di copertura (Macerata punto nevralgico della diffusione. Dove il prezzo delle dosi diminuisce, la droga dilaga. Redazione, 16/02/2018, www.specchiomagazine.it, Paola Tavella, L’ Espresso). •

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