Sepúlveda: “Per salvarci smettiamo di correre’
“Io difendo il ritmo umano: il tempo preciso, né più né meno, che serve per fare le cose per bene. Per pensare, per riflettere, per non dimenticare chi siamo”. Così Luis Sepúlveda riassume il senso del suo Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (Guanda), favola per bimbi – ma soprattutto per grandi – che va a far compagnia alla celebre e fortunata Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (1996) e al più recente Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico (2012) nello scaffale delle incursioni che lo scrittore cileno ha compiuto nella fiaba.
Storia di una lumaca è una volta una favola di animali, un apologo morale nel solco della tradizione classica, alla quale lo scrittore – noto per le sue battaglie politiche e ambientaliste – affida il compito di raccontarci come siamo o rischiamo di diventare.
Racconta di una giovane lumaca senza nome che è ‘malata’ di anticonformismo: non le basta il prato in cui il suo gruppo di lumache vive da sempre, non le basta essere come le altre felicemente senza nome, parte di una piccola e silenziosa massa. Così, con l’aiuto di un gufo e di una tartaruga, va alla scoperta del mondo. In tempo per scoprire che l’uomo sta per asfaltare il mondo beato in cui ha sempre vissuto. Soltanto sfidando l’amore per lo status quo delle sue compagne potrà forse portarle alla salvezza.
Con Storia di una lumaca lei torna alla favola. Perché è una forma letteraria così importante per lei?
La favola permette di vedere in prospettiva alcuni aspetti del comportamento umano e quindi di valutarli meglio. Penso ad esempio a una celebre fiaba di Esopo, La volpe e l’uva, che mi raccontava mia nonna quando ero piccolo. Narra di una volpe che vede un grappolo d’uva: cerca di afferrarlo, salta in alto per prenderlo ma non ci riesce. Alla fine dice: “Non mi piace l’uva” e se ne va. Così si conforma e si rassegna. Per me, da bambino, era un monito: mi ha insegnato a non arrendermi senza lottare.
Si parla molto di riscoprire il valore della lentezza, come lei propone in questo libro. Ma in pratica la nostra vita è dominata dalla mistica della velocità. Viviamo una costante contraddizione…
È vero che c’è una tendenza di nicchia a riscoprire la lentezza. Mi piace ad esempio il vostro Slowfood: è una proposta interessante, un regresso al piacere di cucinare e al piacere di mangiare. Però è appunto un fatto di nicchia. Invece la mia critica alla velocità, al fare tutto in fretta, all’assenza di pause per meditare sul quel che si fa e sul perché lo si fa si riferisce a un feticcio chiamato “società dell’informazione” o “società della tecnologia”. Mi spiego: ci dicono che se abbiamo un telefono cellulare di ultima generazione la nostra vita sarà più rapida, più felice e più intensa. Però non ci viene mai detto che questo cellulare ha una batteria, che questa batteria si fa con minerali chiamati coltan e litio, e che per ottenere questi minerali a basso prezzo si umiliano, si schiavizzano e si destabilizzano socialmente, economicamente e politicamente i paesi africani e latinoamericani in cui si estraggono coltan e litio.
Il nostro progresso tecnologico ha un prezzo che viene pagato altrove. Ma almeno ci rende più felici?
È la domanda che ci dovremmo porre. Quel che facciamo ci rende più sereni? La velocità ci serve? Quindici anni fa per copiare una canzone di un disco su una cassetta ci volevano tre minuti: il tempo che durava la canzone. Ora nello stesso tempo un ragazzo scarica fino a mille canzoni da Internet. Per farne cosa? Ascolta davvero mille canzoni?
Le farò un altro esempio: in Spagna il ministro del lavoro Fátima Báñez ha twittato che in un minuto aveva fatto scoppiare diecimila bolle in un gioco online.
Nel mese d’agosto lo stesso ministro è riuscita a creare 31 posti di lavoro in un paese che ha sei milioni di disoccupati.
Allora: fai scoppiare diecimila bolle in un minuto, una rapidità incredibile, ma ci metti un giorno per creare un solo posto di lavoro. A cosa ti è servita la tua rapidità?
Lei ha scelto come protagonista un piccolo animale saggio e coraggioso. La sua lumaca si accorge del disastro che incombe sul suo habitat e corre il rischio di cercare un’altra strada. Una lezione per tutti?
Non do lezioni e non mando messaggi: se ci sono tocca ai lettori scoprirlo. Però posso dire che la lumaca della mia storia la pensa come Rosa Luxemburg: che vale la pena vivere in un mondo socialmente giusto, umanamente vario e in cui la libertà è la massima espressione della giustizia sociale. Sappiamo che i disastri ecologici fanno migliaia di morti a volte conseguenza del riscaldamento globale, della violenta alterazione ambientale prodotta non dall’essere umano in generale ma da un ristretto gruppo di persone che, per sete di dominio e di denaro, condanna tutti al suicidio planetario.
La saggezza e la conoscenza, unite al coraggio civico, sono le armi migliori per evitare questa ecatombe naturale. •