Ero malato e siete venuti a visitarmi
Sì, un malato è, o prima o poi può diventare solo, solo con se stesso e con il suo male; solo perché chi lo circonda è sano e potrebbe non sentirsi obbligato a condividere lo stesso destino. Ma il Vangelo è come lo Spirito, che soffia dove vuole. Esso certamente porta il suo alito di vita verso colui che soffre in prima persona, ma la Parola di verità può portare consiglio, ed in modalità che si dimostrano sempre inedite, anche a chi sulle prime si dimostra recalcitrante, o per non dire indifferente a nuove forme di solidarietà e prossimità.
Se una volta il Servizio Sanitario era molto più ridotto e minimale rispetto ad oggi, avevamo però la figura dei medici di famiglia tuttofare, che si cimentavano in più discipline prendendo in molti casi e in assoluta autonomia decisioni importanti assumendosi grandi responsabilità. Il medico era così; bastava chiamarlo ed egli era il primo a visitare il malato e a portare il giusto conforto. Oggi il sistema è cambiato, è molto più articolato, è diventato una vera e propria “rete” di professionisti e strutture, in cui il rapporto umano, anche guadagnando in qualità del servizio, può però venir meno ed affievolirsi.
E il malato, affidato da una parte a cure sofisticatissime e notevolmente migliori rispetto a qualche decennio orsono, paradossalmente può correre il rischio di sentirsi solo e piccolo, in un sistema enormemente più grande di lui e forse, a volte, più complicato della sua malattia. Visitare un malato oggi è qualcosa che oltrepassa il sostenerlo nell’accettare e sopportare il dolore fisico; è anche consigliarlo ed accompagnarlo tra un’analisi, un esame, una visita ed un ricovero, aiutarlo nel compiere le tante pratiche burocratiche che, per quanto ne desideriamo la razionalizzazione e la semplificazione, restano comunque necessarie e ineludibili, parte ormai del sistema. E forse questa è una delle tante frontiere verso cui, nel 2018, il Vangelo ci sta spingendo. •