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La via del servizio

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Francesco all’Angelus: “È l’antidoto più efficace contro il morbo della ricerca dei primi posti; è la medicina per gli arrampicatori, questa ricerca dei primi posti, che contagia tanti contesti umani e non risparmia neanche i cristiani, il popolo di Dio, neanche la gerarchia ecclesiastica”
Nel Vangelo di questa domenica, Marco ripropone le parole di Gesù con le quali cerca di far capire ai suoi il grande valore della sofferenza e del servire.
Per tre volte, lungo la salita verso Gerusalemme, ha cercato di correggere i discepoli, affascinati più dalla prospettiva di un re potente, che non ha sul suo percorso la sofferenza, la passione e la morte. È l’immagine del servo sofferente di Jahwé, la cui missione si realizza proprio attraverso una presenza umile e silenziosa, e mediante la sofferenza. Qui è il grande paradosso: non è brigando per ottenere potere e successo che si distingue il discepolo.
Don Tonino Bello diceva: “Noi come credenti ma anche come non-credenti non abbiamo più i segni del potere. Se noi potessimo risolvere tutti i problemi degli sfrattati, dei drogati, dei marocchini, dei terzomondiali, i problemi di tutta questa povera gente, se potessimo risolvere i problemi dei disoccupati, allora avremmo i segni del potere sulle spalle. Noi non abbiamo i segni del potere, però c’è rimasto il potere dei segni, il potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce della società contemporanea, collocare dei segni vedendo i quali la gente deve capire verso quali traguardi stiamo andando, e se non è il caso di operare qualche inversione di marcia”.
Papa Francesco, all’Angelus, commenta il testo di Marco, e ricorda la domanda dei figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, i quali, “mentre sono in cammino verso Gerusalemme, dove i discepoli sperano con ansia che Gesù, in occasione della festa di Pasqua, instaurerà finalmente il Regno di Dio, si fanno coraggio, si avvicinano e rivolgono al Maestro la loro richiesta: concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
In questa loro richiesta viene alla luce, ancora una volta, il rifiuto di una sequela fatta di sofferenza, mentre prende corpo il desiderio di primeggiare, di essere al di sopra degli altri. Loro parlano di “troni di gloria su cui sedere accanto al Cristo re”, lui, dice il Papa, “parla di un calice da bere, di un battesimo da ricevere, cioè della sua passione e morte”.
Anche loro, profetizza Gesù, berranno il suo calice, riceveranno il suo battesimo, parteciperanno alla sua croce. Per loro, è il momento di “imparare la via dell’amore in perdita, e al premio ci penserà il Padre celeste”, afferma Francesco, il quale ricorda, ai 20mila presenti in piazza san Pietro, che “amare significa lasciare da parte l’egoismo, l’autoreferenzialità, per servire gli altri”.
Prendere parte alla gloria di questo Messia umiliato è possibile solo condividendo come lui l’esperienza della Pasqua. Anche gli altri apostoli sono segnati dalla mentalità del mondo e contestano Giacomo e Giovanni. Così Gesù dice loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”.
Lezione che vale per i cristiani di tutti i tempi, afferma ancora il vescovo di Roma: “Mentre i grandi della terra si costruiscono troni per il proprio potere, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dal quale regnare dando la vita”.
Ancora: “La via del servizio è l’antidoto più efficace contro il morbo della ricerca dei primi posti; è la medicina per gli arrampicatori, questa ricerca dei primi posti, che contagia tanti contesti umani e non risparmia neanche i cristiani, il popolo di Dio, neanche la gerarchia ecclesiastica. Perciò, come discepoli di Cristo, accogliamo questo Vangelo come richiamo alla conversione, per testimoniare con coraggio e generosità una Chiesa che si china ai piedi degli ultimi, per servirli con amore e semplicità”.
Il Vangelo, scrive Benedetto XVI nella Spe Salvi, “è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”. •

Fabio Zavattaro

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