Ceriscioli, dopo sanità e terremoto, alle prese con il corona-virus.
Le polemiche per le liste d’attesa o quelle per la lentezza della ricostruzione post sisma erano niente rispetto al ciclone di critiche che si è abbattuto su Luca Ceriscioli, presidente della Regione Marche, a seguito delle due ordinanze con le quali ha chiuso le scuole della regione e fissato una serie di restrizioni per combattere la diffusione del Coronavirus. Poi però, l’evolversi – purtroppo in negativo – della situazione, con l’aumento di casi di contagio e la decisione del governo di interrompere le lezioni in tutta Italia, ha capovolto l’opinione sul Governatore e molti marchigiani hanno iniziato a sostenere che Ceriscioli, forse, è stato più avveduto di altri suoi colleghi.
Il primo provvedimento lo ha adottato a seguito di un contagio al confine con le Marche, esattamente a Cattolica, e la maggior parte dell’opinione pubblica lo ha definito un atto spropositato. Il presidente della Regione, invece, ha difeso la sua scelta, che doveva rimanere in vigore fino al 4 marzo, spiegando che «essendo la preoccupazione principale quella di arginare l’ampliarsi del contagio, andavano ridotti gli assembramenti di persone, come possono essere le lezioni scolastiche e le manifestazioni di pubblico spettacolo». Quando il Tar, su ricorso del Governo Conte, ha sospeso l’efficacia dell’ordinanza, Ceriscioli è rimasto convinto della necessità delle disposizioni che aveva adottato e ha emesso, dopo poche ore, un secondo atto, con i medesimi divieti, valevole fino a sabato 29 febbraio. «Anzi – ha chiarito il Governatore delle Marche – la nuova disposizione è stata ancora più motivata della prima perché nel frattempo c’erano stati 6 casi positivi al Coronavirus, compreso uno studente. Pensate, quale diffusione del virus si sarebbe scatenata con le scuole aperte». Ceriscioli è andato avanti per la sua strada, ‘disobbedendo’ al premier Conte, che una prima volta lo ha invitato a non emanare l’ordinanza (proprio in diretta mentre il presidente della Regione la stava annunciando in una conferenza stampa) e, poi, visto che l’atto era stato lo stesso promulgato, lo ha impugnato con il ricorso al Tar. Ma Ceriscioli ha respinto anche il secondo invito di premier e ministri ad uniformarsi ad altre 12 regioni che avevano pochi casi di Coronavirus ed ha emanato la seconda ordinanza. «Non ho capito perché – ha poi spiegato – è stato impugnato solo il mio atto, mentre altre regioni, tipo il Friuli Venezia Giulia, pur non avendo casi di contagio hanno chiuso le scuole e nessuno ha avuto da ridire. Sono andato avanti proprio perché non c’era una direttiva univoca per casi simili>.
Scaduta la seconda ordinanza alla mezzanotte di sabato 29 febbraio, le scuole marchigiane hanno riaperto per due giorni, ma poi l’ampliarsi del contagio in tutta Italia, con casi anche nella nostra regione, in particolare a Pesaro, hanno indotto il governo a chiudere scuole e università in tutto il Paese. Le ultime settimane da presidente della Regione (si dovrebbe votare a primavera), dunque, per Ceriscioli sono state addirittura più difficili del periodo post terremoto, con due ‘macigni’ del genere si può senz’altro dire che a lui è toccato guidare la legislatura più tormentata della storia delle Marche.•