Il messaggio dell’Arcivescovo, Mons. Rocco Pennacchio sul significato del Buon Natale ai tempi del Covid.
A distanza di tre anni dal Suo arrivo l’intera comunità dell’Arcidiocesi di Fermo ha imparato a conoscere ed apprezzare il suo Arcivescovo Rocco.
Eccellenza, avrebbe mai pensato di poter vivere una notte di Natale come quella di quest’anno?
No, come tutti, penso. L’orario fissato intorno alla mezzanotte non è un obbligo liturgico per cui, anche se la Messa viene anticipata alla sera, sarà lo stesso un intenso momento di comunione e di fraternità, in cui chiederemo al Bambino di squarciare con la sua luce le tenebre della “notte” che sta vivendo il mondo
Che significato intenso assume per tutti noi, in quest’anno tanto difficile ai tempi della pandemia, l’augurio di un Buon Natale?
Mai come quest’anno percepiamo il Natale come festa della Incarnazione del Signore. Da duemila anni il cristianesimo, in virtù di quell’evento, impone ad ogni credente di sentirsi “incarnato” nel mondo e nel suo tempo, quest’anno, in particolare nei problemi generati dalla pandemia, se pensiamo alle morti e alle innumerevoli sofferenze di milioni di persone.
Sarà perciò un Natale “minore” se consideriamo le modalità e le abitudini alle quali eravamo abituati, le relazioni amicali e familiari che in questo periodo si rinsaldavano ma forse abbiamo l’occasione finalmente di concentrarci più sul Festeggiato che sui festeggiamenti. “Auguri” è un invito a “crescere”: quest’anno cresceremo sicuramente in raccoglimento ed essenzialità.
Quel senso d’impotenza che si ha di fronte ad un evento catastrofico genera profonde insicurezze e paure, individuali e collettive. Come un cattolico può tentare di alleviare le angosce di questo tempo?
Il Signore dice che nella perseveranza salveremo la nostra vita, quindi innanzitutto dobbiamo restare al nostro posto, mantenendo nervi saldi senza cedere allo scoraggiamento. In questi mesi la comunità cristiana non si è fermata, anche se ha modificato alcune modalità di azione pastorale, perciò rimane un punto di riferimento per un confronto e un conforto. Domenica il papa ha detto che, invece di lamentarci dovremmo guardarci intorno per aiutare chi è privo del necessario.
Non posso che condividere il suo invito, che giro ad ogni cattolico. Se allarghiamo lo sguardo oltre noi stessi, sicuramente non avremo tempo di deprimerci.
Le pur necessarie restrizioni a tutela della nostra salute non ci consentono ancora di rapportarci con gli altri, come vorremmo e come siamo soliti fare e probabilmente ancora per molto tempo. Questi gesti da cosa possono essere sostituiti come segno di vicinanza all’altro, ai più deboli o a chi è in difficoltà?
La povertà più evidente, a mio avviso, è la solitudine di tante persone, acuita quest’anno dalla pandemia. Ognuno di noi, anche una semplice telefonata, può alleviare tale sofferenza.
Non dimentichiamo poi i poveri, e gli “impoveriti”, cioè quanti fino a poco tempo fa non avevano difficoltà economiche.
Nonostante le norme impediscano molte iniziative di sostegno, come la condivisione della mensa o la possibilità di accedere ad un dormitorio, le Caritas parrocchiali e le varie associazioni impegnate in questo campo non si sono scoraggiate e continuano a mantenere un livello essenziale di intervento adattandosi come meglio possono. Mi risulta che sta crescendo la carità tra i gruppi sociali, famiglie, amici, conoscenti dove, senza clamore, si cerca di andare incontro alle difficoltà.
Davanti e dentro questo contesto desolante che rischia seriamente di farci precipitare nella solitudine e nella sfiducia più totale, come cantare la gioia del Natale? Come cantare la gioia di questo “meraviglioso scambio” al tempo di una pandemia?
La pandemia ha creato tanti problemi ma molti li ha solo “svelati”, nel senso che ha messo a nudo fragilità che già esistevano ed erano coperte da una religiosità spesso superficiale o immatura. Penso, ad esempio, all’incapacità di guardare ad un orizzonte più ampio della nostra vita terrena che però è lo specifico della nostra vita cristiana.
Il “meraviglioso scambio”, non genera solo una modalità diversa di vivere quaggiù ma la gioia di vedere concretizzata la speranza della vita divina, eterna, che Gesù ci dona con la sua venuta in mezzo a noi.
Tutto questo non lo percepiamo più perché abbiamo schiacciato la fede sui nostri affari terreni ma, in questo, la pandemia non ha colpe.
Nei vangeli la gioia è sempre legata alla presenza del Signore nella propria vita; perché pensare che si sia allontanato proprio nel momento in cui viviamo una sorta di passione, condividendo la sua?
Come si può essere veri artigiani di pace con l’arte della gentilezza come auspica il Papa in Fratelli Tutti in un tempo come quello che stiamo vivendo?
La virtù della gentilezza, ci ricorda il papa, è la base di una vera cultura dell’incontro. In questo tempo eserciterei la virtù della gentilezza innanzitutto ricordandomi che l’altro esiste, vincendo la tentazione del ripiegarmi su me stesso.
La pandemia, anche attraverso il rispetto di tante norme, ha indirettamente ricordato a ciascuno di noi quanto siamo interdipendenti e quindi corresponsabili gli uni degli altri. L’adozione di misure di protezione individuale non dice solo una precauzione per tutelarmi dal contagio ma anche il rispetto della vita dell’altro – a cui tengo – e l’attenzione verso il bene comune. L’arte della gentilezza potrebbe essere vissuta a partire da un’osservanza serena e non risentita alle prescrizioni. Infine, la gentilezza va coniugata con la concretezza delle relazioni, da ricercare e mantenere a tutti costi, anche con modalità alle quali non siamo abituati.
Ci può lasciare un suo messaggio di speranza, un auspicio per i nostri lettori e un augurio ai giovani che con responsabilità tutelano i propri anziani, alle famiglie in difficoltà per la crisi economica che stanno cercando di sorridere alla vita malgrado tutto ed ai tanti fedeli della Diocesi che con la preghiera stanno vicino agli ammalati ed ai sofferenti?
Non chiudiamoci in noi stessi, abbiamo fiducia in Dio e nella comunità perché solo insieme ne usciremo, come ci ha ricordato papa Francesco. Non ho dubbi che i giovani sapranno vivere senza eccessi e con senso di responsabilità i prossimi giorni, avendo le giuste attenzioni verso i più fragili, i nostri nonni innanzitutto. Rinnovo la mia gratitudine alla redazione della Voce delle Marche, che continua ad offrire il suo contributo di riflessione a credenti e non credenti perché tutti sappiamo leggere con lucidità e serenità questo tempo.
Pare che nella Bibbia l’espressione “Non temere” risuoni 365 volte, invito che ha sostenuto anche la Vergine Maria nel dire il suo sì. È la carezza di Dio, che in questo modo rinnova ogni giorno, per tutto l’anno, la sua presenza in mezzo a noi. Non dimentichiamolo. Auguri!
Eccellenza grazie per la sua vicinanza e Buon Natale a Lei ed ai suoi affetti da tutti noi. •