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“Lo sguardo di Gesù negli occhi dei miei pazienti”

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Il racconto di Tonia Lattanzi, infermiera all’Adi di Civitanova. Il servizio durante l’emergenza pandemica non si è mai fermato.

La consapevolezza che la mia vocazione si realizzasse prendendomi cura degli altri è arrivata una notte in ospedale, mentre assistevo la mia anziana nonna. La figura di una giovane ragazza vestita di bianco che si divideva tra i campanelli rumorosi e le parole sussurrate, mi consegnava la risposta alle preghiere che da adolescente facevo al Signore: “quale progetto hai su di me?”.
Mi presento: mi chiamo Tonia Lattanzi e sono un’infermiera. La formazione e l’esperienza mi hanno portato a percorrere strade strane e “speciali“.
Infatti, dopo un po’ di gavetta sono approdata al Distretto di Civitanova, servizio domiciliare (ADI): entrare nelle case di pazienti cronici (a volte terminali) per i quali era ancora prematuro, successivo o, addirittura inutile, il ricovero ospedaliero.
Una dimensione diversa del reparto in cui si ha difronte soltanto il paziente con la sua patologia principale. Prendere in carico un malato, sul territorio, significa includere anche il suo contesto familiare, all’interno del quale deve cercare di riconquistare l’autonomia quotidiana che è stata sconvolta dalla malattia. Ho imparato ad “entrare” nelle famiglie in punta di piedi, per dare spazio alle sofferenze, alla rabbia, allo smarrimento che porta con se la malattia e l’accudimento del malato. Con la pazienza e perseveranza, compiere gesti e ripetere, magari, sempre le stesse parole per accompagnare familiari e malati nel processo di accettazione della nuova dimensione. In più di venti anni di questo lavoro ho vivo il ricordo di ognuno dei pazienti che ho avuto, di tutte le età e con tutte le patologie: dal pediatria alla geriatria.
Ho avuto anche la grazia di conoscere tante ”Santità domestiche”: figli, mogli/mariti, genitori.. che hanno offerto la loro vita all’accudimento dei loro cari. Ma in questi anni è nata anche il mio interesse in quello che oggi, noi addetti ai lavori, chiamiamo: ”epidemia silente” che colpisce trasversalmente i molti individui, sia allettati che in attività. La maggior parte dei pazienti che seguivo a domicilio, oltre alla loro patologia, erano affetti da ulcere cutanee più o meno gravi e profonde. Un interesse che di lì a poco si è trasformata in passione, fino a frequentare un Master per essere “Specialist in wound care” (Specialista nella cura delle lesioni ).
La scelta di un corso di studi faticoso iniziato in età matura ma condiviso con il mio padre spirituale che mi aiutava a comprendere i segni di una vocazione che non era solo per le ferite del corpo, ma anche per quelle dell’anima. Insieme ad altre colleghe sono riuscita ad aprire un ambulatorio di “Ferite Difficili“ di riferimento, dove afferiscono spesso pazienti di tutte le età e che magari hanno girato per molti centri senza trovare personale specializzato. Le piaghe si nascondono sotto una benda o sono coperte da un grande cerotto o, spesso ancora, celate da vestiti ampi e coprenti, ma si accompagnano sempre ad un disagio psicologico come la vergogna che limita, chi ne è affetto, nelle relazioni e nelle normali azioni quotidiane. La ferita è una “malattia“ che va nascosta per paura di suscitare ribrezzo o compassione. Così la fragilita del corpo coinvolge anche la fragilità dell’anima.
La maggior parte delle volte le ferite guariscono, altre raramente invece non hanno speranza per tanti motivi. Nessuno viene abbandonato, anzi tutti sono accompagnati perchè mantengano alta la loro qualità di vita.
Fin dal’inizio della pandemia abbiamo toccata con mano, insieme ai nostri pazienti, quanto fosse importante il nostro centro. Mentre tutti gli altri ambulatori specialistici chiudevano a causa dei rischi di contagio, noi non abbiamo mai potuto lasciare soli i nostri “malati”. Le piaghe continuavano ad esserci nonostante la zona rossa e le restrizioni per gli spostamenti; abbiamo sempre lavorato a pieno ritmo senza lasciare indietro nessuno. E per chi aveva paura di uscire di casa, li seguivamo per telefono o ci inviavano foto per controllare che le piaghe non peggiorassero.
Confesso che ogni mattina mi alzo felice perché ricevo di più di quello che dono, perché durante la giornata incontro lo sguardo di Gesù negli occhi dei miei pazienti. Ho la fortuna di incontrare Cristo tutti giorni e di incarnare “..ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”. •

Tonia Lattanzi, infermiera Adi Civitanova Marche

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