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Aria, acqua, suolo sono sotto assedio

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Le periferie delle città cresciute in fretta negli anni del boom quando ancora si pensava poco alla pianificazione dei territori.

“Ambiente. Il verbo ambire in latino corrisponde all’italiano circondare. Ambiens, ambiente era ciò che stava intorno, il circostante. Non è più così, ora ambiens, l’ambiente, è circondato da noi. Aria, acqua, suolo, sono sotto assedio e si restringono. Circondati, si arrenderanno. Anche il cielo stellato sopra di noi è attraversato da satelliti spediti a migliaia. Si fanno largo tra galassie, costellazioni e pianeti. Sono luci artificiali che passano addosso alle stelle come cani da guardia del nostro recinto. Satelliti: anche questa parola viene dal latino. Satellis era lo sgherro messo a protezione del potente. I satelliti sono sbirri del nostro pianeta e allontanano le stelle. Ad affacciarsi sul vocabolario si rischia lo sconforto.
Le persone di fede hanno questa notizia: l’ambiente del creato è Dio. Così rompono l’assedio di noi che circondiamo l’ambiente: si fanno circondare dal creatore. Senza appartenere a questo sentimento di fiducia, prima che di fede, cerco nello scroscio della pioggia sopra una discarica, negli occhi di un cane, un resto di pietà per noi” (Erri De Luca, Alzaia, pag. 13, Nuova edizione, Feltrinelli Editore, Milano 2004)
Tra l’ironico e il divertito, con un linguaggio tagliente, Erri De Luca riscrive nel libro citato quasi un nuovo vocabolario. Di ogni singola parola dà la definizione accostandola a citazioni prese a prestito da altri autori o scavando nel proprio mondo interiore e non solo.
Il titolo, Alzaia, è una metafora: “Alzaia è la fune che serviva a tirare dalla riva di fiumi e canali chiatte e battelli controcorrente. E qui è la corda che trascina pensieri, frasi, spunti, accadimenti. Alzaia diventa così un prezioso quaderno di riflessioni, un esercizio per non perdere la memoria. Si procede per voci in ordine alfabetico” (Ibidem, quarta pagine di copertina).
Il marmo di colore bianco rosato, estratto nelle cave di Candoglia, comune di Mergozzo, provincia del Verbano – Cusio- Ossola, caricato su grandi zattere, scivolava sul Naviglio Grande e giungeva alla Darsena di Milano, zona Porta Ticinese.
Da qui, caricato su carri trainati da cavalli, arrivava nel centro città. Serviva per la costruzione del duomo di Milano. Ai lati del Naviglio Grande, all’altezza dell’abazia di Morimondo, è possibile vedere anche oggi due strade in terra battuta, sopraelevate rispetto al naviglio e parallele ad esso.
Erano percorse da più paia di cavalli che trainavano a monte le zattere per prelevare altro marmo. Negli ultimi vent’anni, la darsena e i navigli di Milano, recuperati dopo lunghi lavori di bonifica, sono diventati i luoghi della movida milanese.
I piani di recupero di aree dismesse, un tempo luoghi di grandi fabbriche, hanno dato un nuovo volto alle città. A Civitanova Marche, nelle aree occupate un tempo dalla Cecchetti e dalla Vetreria sono sorti due nuovi quartieri con abitazioni e negozi. Non è stato fatto ancora nulla per l’area della fornace Ceccotti, contigua alla ex fabbrica delle bottiglie. La Cecchetti aveva fatto di Civitanova Marche una Company Town, la città fabbrica al pari di molte città del nord, con case per operai, mensa, spaccio aziendale, asilo per i figli dei dipendenti, ambulatorio.
Lo spazio, un tempo occupato dal tronco ferroviario dove operava il carrello trasbordatore, è attraversato oggi dalla strada principale ai cui lati sorgono nuove costruzioni con appartamenti e negozi.
Tutta l’area, dove un tempo sorgeva lo zuccherificio di Montecosaro Scalo, è ancora da recuperare; è contigua alla ferrovia per Macerata – Albacina – Fabriano e parallela alla carrareccia, è posta all’incrocio della bretella che collega la popolosa frazione alla superstrada per Civitanova Marche – Foligno, un’altra strada porta direttamente al paese in collina. Il risanamento della vasta superficie e un suo recupero a fini abitativi potrebbe bloccare l’occupazione di suolo agricolo, che è stata una costante dagli anni settanta ad oggi. Le periferie dei nostri paesi che si affacciano sulla vallata del Chienti sono tutte uguali, nate in fretta negli anni del boom, quando la pianificazione del territorio non si sapeva che cosa fosse. Oggi ne paghiamo il prezzo quando basta un temporale più violento del solito per parlare di dissesto idrogeologico e di quant’altro.
Nella campagna non ci sono più contadini, gli abitanti del contado, il territorio attorno al comune medievale, come mi faceva notare ironicamente un collega anni fa, sapendo delle mie origini rurali. Erano le guardie ecologiche del territorio e nemmeno lo sapevano. Sarchiavano, pulivano gli argini dei fossati che delimitavano le diverse proprietà agricole. Una volta seminato, aprivano piccoli fossati a spina di pesce, raccordandoli a solchi più grandi per controllare e irregimentare l’acqua quando pioveva a dirotto. Quel mondo è scomparso per sempre. I pochi abitanti che occupano le case di campagna, recuperate come seconda casa, non hanno nulla a che fare con la terra e con il suo mondo. Non c’è più una civiltà contadina e non ce ne sarà un’altra.
Chi va a caccia e gira per la campagna attorno alla frazione di Santa Lucia di Morrovalle, spingendosi fino alle Cervare, non riconosce più il territorio che ha imparato a misurare con i propri passi da sempre fin da piccolo. Avanzano terreni incolti, i fossati del fondovalle sono infestati da rovi, regno di calabroni, terrore per le api la cui moria è un allarme per l’ecosistema.
Si organizzano convegni sull’inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria. E questo basta per mettere tutti d’accordo. Anche le risorgive, le vene d’acqua, come si chiamavano un tempo, dove il contadino portava ad abbeverare le mucche, sono sotto attacco. Si è verificato che sono state raggiunte da perforazioni del terreno per la messa in opera di una nuova infrastruttura. L’acqua fuoriusciva in superfice fino a lambire la strada, mescolandosi alla melma.•

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