“Sì, lo prometto”: atto di fede

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Mi inerpico con gli altri ragazzi Scout della parrocchia nella stradina di terra fino a Barbiana, fino a quella chiesa e canonica così in mezzo al niente, per ritrovare le orme di quel prete che negli anni Sessanta aveva fatto parlare tanto di sé, don Lorenzo Milani.

Ritrovo la sua tomba, la sua canonica, la classe dove istruiva i suoi ragazzi… la guida termina rileggendo il suo testamento spirituale: “Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”. La commozione è forte… ripenso che quelle stesse parole mio fratello le aveva lette a me come augurio il giorno della mia prima messa, quattordici anni fa. Approfondisco la vita di don Lorenzo riscopro che era un sacerdote obbedientissimo, amava anzitutto la Chiesa e tutto faceva perché il suo operato non fosse isolato. Aveva accettato di essere considerato ribelle ed era andato in esilio; ciò non aveva spento la sua passione per il ministero soprattutto amando i ragazzi che gli erano stati affidati con quella forza espressa nel suo testamento.

Ho pensato che la sua storia come la storia di tutti noi presbiteri era strettamente legata a quel sì detto al Signore una volta per sempre. La via tangibile per esprimere il nostro ministero è legata al sì reale detto al vescovo di dedicare la nostra vita a quel popolo o a quel compito invece che ad un altro. Questo sì è il sì dell’obbedienza al Signore, che si manifesta nella storia concreta di una Chiesa concreta, di persone concrete che danno senso al nostro ministero. Penso a quanta fede ci voglia per poter pensare che solo immergendoci totalmente nella storia che per obbedienza abbiamo accettato, possiamo costruire il Suo Regno, senza fughe vigliacche e senza minimizzare le nostre responsabilità. L’obbedienza di don Lorenzo interroga la mia fede nel pensare che per obbedire al vescovo e alla Chiesa di Cristo, sia a volte necessario vivere isolato per tanti anni senza luce, né acqua corrente, né riscaldamento.

Egli stesso tuttavia – racconta proprio il suo Michele – aveva lasciato di stucco un grande intellettuale, probabilmente poco credente, in visita a Barbiana che lo aveva salutato dicendo “le porto la mia stima e ammirazione”. La risposta di don Lorenzo: “tra voi e me non c’è nessuna parentela, io ho la chiesa che mi indica la strada, voi poveretti navigate nel buio”. Ai suoi vicini aveva giustificato la sua risposta brusca chiarendo che “per lui [l’intellettuale che lo aveva visitato] stimare me equivale a disprezzare la mia chiesa: infatti lui era qui per mostrare stima e simpatia per l’uomo e non per l’istituzione che rappresento”. L’istituzione che lui rappresentava non perdeva occasione di condannarlo, accusarlo, isolarlo e farlo soffrire; l’istituzione lo aveva sacrificato per una non precisa fede che lo considerava “meno prete” di altri, mentre lui continuava ad amare la Chiesa, sempre pronto a dire sì quando veniva corretto su qualcosa di originale che aveva proposto. Ma è l’amore concreto alle persone che Dio ci affida che ci fa sopportare le contrarietà di un tempo difficile come società e come chiesa; ed è questo amore vero e non istituzionale che può salvare noi come preti dal rischio che ancora don Lorenzo nel suo solito linguaggio colorito rimproverava ai preti come ai maestri: “Le maestre son come i preti e le puttane. Si innamorano alla svelta delle creature. Se poi le perdono non hanno tempo di piangere. Il mondo è una famiglia immensa. Ci sono tante altre creature da servire”.

Questa Chiesa da amare, fatta di persone che Dio ci affida e a cui leghiamo i nostri giorni ed il nostro vissuto, santa e peccatrice ci si presenta, a volte, come viandante stanco e distratto, solo preoccupato dell’acqua, del pane e dell’olio, come sollievo momentaneo del loro cammino per poi scomparire per chissà quanto tempo, senza il ricordo di quella sosta così bella ed emozionante. Altre volte assume il volto di amici veri che condividono da vicino i nostri passi, con cui mangiamo lo stesso pane ci abbeveriamo alla stessa coppa e come discepoli impariamo ad ascoltare il Maestro. Ci vogliono veramente bene questi amici, ci riempiono di attenzioni e di affetto che forse non meritiamo.

Cresce in me in questo anno il senso di gratitudine al Signore per essere posto tra Lui e gli uomini, non come mediatore e padrone del rapporto con Lui, ma come segno privilegiato e misterioso di un amore, che non ci appartiene perché è di Dio. Sono di Dio anche tutte le pecorelle che lui ci affida per un tempo, il tempo del nostro ministero legato ad sì detto al nostro vescovo, forse in circostanze di emergenza, per punizione o per semplice successione casuale, eco di quella promessa fatta nelle mani del mio vescovo quattordici anni fa: Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza? Mettendo le mie mani nelle sue e guardandolo fisso negli occhi (cosa inusuale per il mio carattere!!!) ho risposto: Lo prometto.

Queste pecorelle per cui il Signore ha dato la vita meritano tutto il nostro amore, anche quando sono fuori dal gregge e pensano a pascolare altrove. Sono proprio a loro che offriamo la nostra vita, perché dalla gratuità del nostro amore intuiscano che sono amate gratuitamente da Colui che è venuto a cercare e guarire tutti coloro che si erano perduti. Per obbedienza siamo nomadi… certi solo dell’Amore di Dio. •

Nomadi che cercano gli angoli della tranquillità nelle nebbie del nord e nei tumulti delle civiltà tra i chiari scuri e la monotonia dei giorni che passano camminatore che vai cercando la pace al crepuscolo la troverai alla fine della strada. Lungo il transito dell’apparente dualità la pioggia di settembre risveglia i vuoti della mia stanza ed i lamenti della solitudine si prolungano come uno straniero non sento legami di sentimento. E me ne andrò dalle città nell’attesa del risveglio. I viandanti vanno in cerca di ospitalità nei villaggi assolati e nei bassifondi dell’immensità e si addormentano sopra i guanciali della terra forestiero che cerchi la dimensione insondabile. La troverai, fuori città alla fine della strada. (F. Battiato)

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