“On a souvent besoin d’un plus petit que soi – Spesso abbiamo bisogno di qualcuno più piccolo di noi». Questa morale lapidaria è illustrata da una breve favola di Jean de La Fontaine (1621-1695): Il leone e il topo. Nel racconto, un topo capita per distrazione fra le grinfie di un leone, il quale, magnanimo, preferisce risparmiargli la vita. Lo stesso leone si ritrova poco dopo impigliato in una rete e, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a liberarsi, finché il topo, riconoscente, rode la corda e permette al felino di ritrovare la libertà. Le zanne del leone sono più temibili dei denti del topo, nessuno ne dubita. In certe circostanze, tuttavia, le zanne del leone non sono di alcuna utilità, mentre i dentini del topo riescono a ottenere il risultato sperato. La posta in gioco non era indifferente, poiché il leone rischiava di perdere non solo la libertà, ma anche la vita. Il detto appena citato è diventato proverbiale in francese. Si addice anche molto bene alla tesi di Antonio Nepi sui personaggi secondari nelle narrazioni bibliche, e ciò per due ragioni.
Primo, lo studio evidenzia una caratteristica essenziale dei racconti biblici, vale a dire la presenza di numerosi personaggi secondari che espletano un ruolo essenziale nei racconti. Un esempio fra tanti altri è quello della ragazzina ebrea, schiava di Naaman il Siro, che fornisce la soluzione al problema del suo padrone lebbroso mandandolo dal profeta Eliseo (1Re 5). È donna, ragazzina, schiava e straniera in casa di un potente signore della guerra arameo. Naaman il Siro occupa un posto in cima alla gerarchia sociale e politica del suo tempo, mentre la giovane schiava, anonima per di più, si trova certamente all’altra estremità della stessa scala sociale. Orbene, il racconto dimostra che la salvezza di Naaman, potentissimo, però lebbroso, viene dal basso e non dall’alto. Né il suo potere né le sue ricchezze giovano alla sua guarigione. Solo la parola della ragazzina ebrea sarà quella giusta quando lo consiglia di rivolgersi al profeta Eliseo. Inoltre, e vale la pena menzionare il dettaglio, il generale potrà guarire quando ascolterà il consiglio dei suoi servitori, che lo convincono a seguire la raccomandazione del profeta Eliseo di andare a lavarsi nel Giordano. Ancora una volta, si capovolge la gerarchia del tempo e la soluzione viene dal basso, non dall’alto.
Il secondo motivo ha a che vedere con la natura stessa dei racconti biblici, che provengono spesso da fonti popolari. Non è sorprendente, pertanto, vedere personaggi secondari, così come il topo di Jean de La Fontaine, aiutare e persino salvare i loro sovrani, i leoni. Il tratto tipico della letteratura popolare è proprio quello di celebrare la rivincita dei piccoli sui grandi, dei deboli sui potenti. La cultura medievale francese, ad esempio, conosce il famoso Roman de Renard, Il Romanzo della volpe, una serie di racconti farciti di tratti ironici, nei quali la volpe si burla del lupo. Il romanzo nasce quando la borghesia delle città, rappresentata dalla volpe, inizia a prendere il sopravvento sull’aristocrazia delle campagne, raffigurata dal lupo. In tanti racconti, la furbizia e l’intelligenza prevalgono sulla forza e sul potere. Una mentalità simile appare in una serie di racconti biblici, in particolare là dove i personaggi incarnano la situazione di un popolo che non è mai stato una grande potenza e che non può vantarsi delle sue conquiste, delle sue ricchezze o delle sue realizzazioni artistiche. Diversi racconti esaltano le qualità che permettono a Israele di sopravvivere in condizioni precarie e spesso insicure. Racconti ambientati nella terra d’Israele, invece, rispecchiano un tipo di società stratificata, come in altre società del tempo. Tuttavia, la solidarietà e la collaborazione tra i diversi ceti, in più di un’occasione, vanno ben oltre le rigide barriere sociali. È un altro modo per mostrare che Israele si riconosce non solo nei suoi re e nei suoi potenti, ma anche nella gente comune, presa tra i servi tori, le donne, i pastori e gli artigiani. Riconosciamo tra le grandi figure d’Israele un Giuseppe che salva l’Egitto e il suo faraone dalla carestia, o una Giuditta, vedova, che libera il suo popolo da un potente nemico. O ancora le levatrici di Es 1,15-22, che ingannano il faraone per salvare i figli d’Israele per «timore di Dio», la donna che libera la città di Tebes, in Samaria, spezzando il cranio di Abimelec con una macina buttata dalla cima delle mura (Gdc 9,53), l’anziana di Tekoa che riconcilia Davide con suo figlio Assalonne (2Sam 14), o la donna saggia di Abel che discute con Gioab, generale di Davide, e pone fine alla ribellione di Seba (2Sam 20). Pensiamo anche all’etiope Ebed-Mèlec, che intercede in favore del profeta Geremia e lo salva da una morte certa nella cisterna vuota dove era stato gettato (Ger 39).
Lo studio di Antonio Nepi fornisce un ampio campione di esempi simili. Il primo capitolo, che si legge con diletto, passa in rassegna i personaggi secondari della letteratura classica greca e latina, paragonandoli con i personaggi biblici. Questo capitolo è innovativo, perché introduce nell’esegesi dei testi biblici elementi poco utilizzati, in questo caso aspetti che provengono da un paragone stretto fra la letteratura biblica e quella classica. Lo studio di Antonio Nepi percorre un vasto panorama di testi biblici e di figure della letteratura classica. I capitoli seguenti indagano su figure particolari in testi non sempre ben conosciuti. Non era certo possibile studiare tutti i personaggi secondari del mondo biblico. Era sufficiente dedicare lo studio a tre ruoli più frequenti e più rilevanti, quello del contrasto, del raccordo e del catalizzatore. L’importante, in questo studio, non era di elencare tutti i testi o tutti i ruoli, bensì piuttosto di seguire da vicino e di spiegare il funzionamento dei racconti, là dove i personaggi secondari non sono mere comparse o semplici figuranti. Questi capitoli illustrano a sufficienza che la letteratura biblica non esita mai ad affidare mansioni essenziali a personaggi che appartengono a classi sociali poco considerate. L’ultimo capitolo riprende l’essenziale della ricerca in una sintesi che evidenzia caratteristiche proprie della letteratura biblica. Alla stregua di altri autori, recenti o meno, Antonio Nepi suggerisce che la presenza del personaggio Dio «ruba» spesso la scena agli attori umani e impedisce che vi sia, nella Bibbia, una vera letteratura eroica simile a quella classica. D’altronde, si può anche dire che l’onnipresenza del personaggio divino, ogni tanto sul palcoscenico, altre volte dietro le quinte, getta una luce molto particolare sui gesti più semplici. Il vangelo afferma che nemmeno un bicchier d’acqua fresca offerto sarà dimenticato (Mt 10,45; Mc 9,41). Vi sono tanti bicchieri d’acqua offerti nelle pagine dell’Antico Testamento. È il merito di Antonio Nepi di aiutarci a non dimenticarli. •
Jean-Louis Ska