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“Sta bene dove stava”

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“L’Adorazione dei Magi” campeggia di nuovo nella sala grande della Pinacoteca di Fermo.
Dopo aver entusiasmato al Palazzo Marino di Milano le migliaia di visitatori della mostra sul Rubens, da qualche giorno, il dipinto del pittore fiammingo è tornato a casa. In effetti, non proprio a casa sua. Perché la sua non sarebbe il Palazzo dei Priori ma la Chiesa di San Filippo.
Ed è lì, a ristrutturazione completata dell’edificio, che dovrebbe essere ricollocata la grande pala d’altare commissionata nel 1600 dai Padri Filippini a Pietro Paolo Rubens, e a lui definitivamente attribuita dopo il sopralluogo del prof. Roberto Longhi nell’estate del 1927, che la ribattezzò “La Notte”.
Per il ritorno nella chiesa (in effetti ex) dell’Oratorio si dice completamente d’accordo il prof. Nunzio Giustozzi, critico d’arte di vaglia, curatore di mostre e già assessore alla cultura di Fermo.
Le opere d’arte – ha sostenuto in una intervista televisiva – andrebbero riportate nei luoghi dove nacquero. Laddove spirava il genius loci, dove la committenza ne aveva avvertita la necessità.
Per una sorta di proprietà transitiva, anche le famose tavolette di Jacobello del Fiore, ricoverate nella Pinacoteca fermana per meglio essere custodite e preservate dalle devastazioni della guerra, dovrebbero riprendere la via di casa, ricollocandosi nella chiesa di Santa Lucia.
Nel 1997, la vicenda suscitò un’aspra polemica in città.
Stessa sorte spetterebbe ad altri quadri e altri arredi.
Sarebbe l’impoverimento e la morte dei musei, dichiarano alcuni addetti ai lavori.
Sarebbe invece una nuova vita, replicano altri, ripensando all’idea, purtroppo rimasta tale, di un personaggio un po’ troppo dimenticato.
Mons. Germano Liberati, storico, letterato, musicista e critico d’arte, fu colui che s’occupò del Museo diocesano di Fermo. Lo riempì di cose ottime ma con una prospettiva intelligente. Voleva che quadri, calici, arredi, provenienti da luoghi diversi, laddove possibile, si alternassero con altri quadri calici arredi, di altre chiese, altri proprietari, altre pinacoteche. Un modo per dare linfa e vigore ad Museo capace di proporre sempre oggetti d’arte diversi. Un  Museo insomma come qualcosa di vivo.
Discorso diverso per i Musei storici-archeologici di Belmonte Piceno, Grottazzolina e Falerone.
Il primo, inaugurato quattro mesi fa, raccoglie interessanti cimeli della Civiltà picena. Il secondo ne propone quasi solo foto. Eppure, il Museo di Ancona serba nelle sale espositive, ma soprattutto nei magazzini (!), una quantità non trascurabile di reperti: monili, elmi, manufatti in ambra, ruote e pezzi di metallo dei carri delle “Amazzoni” picene.
Perché non riportarli a casa? Perché non riposizionarli laddove operarono e furono usati?
Stesso discorso per il Museo di Falerone. Statue e manufatti di epoca romana presero la via di Ancona e non tornarono più indietro. Una scelta obbligata a quel tempo per mancanza di strutture e protezioni. Ma ora che ci sono occorrerebbe cambiar politica.
Una pregiata testa di statua romana fu addirittura venduta al Louvre di Parigi. Non la si avrà indietro certamente. Ma una copia la si potrebbe ottenere.
Il sindaco Armando Altini ci sta lavorando. •

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