FERMO: Andrea Monteriù incontra i seminaristi che studiano Teologia
Andrea Monteriù – ricercatore presso l’Università Politecnica delle Marche – ha incontrato la comunità dei seminaristi, raccontando la propria esperienza di vita e di studio e rispondendo ad alcune domande.
Qual è stato l’iter che ti ha portato qui?
A dire il vero, dopo la laurea in ingegneria elettronica ho visto un concorso alla Pirelli. Quando stavo per partire vengo a sapere di un concorso qui in facoltà. Ero combattuto e decido di provarlo. Lo vinco e inizio a lavorare in facoltà.
Come è stato l’approccio con l’università?
Ho sempre percepito il mio lavoro all’università come un mettermi a disposizione degli studenti. Credo che la funzione del docente sia quella di essere a servizio dello studente. A volte c’è la tentazione di pensare il contrario, come se il docente fosse al centro e tutti gli altri esistessero in funzione sua. Assunto questo principio, il lavoro diventa piacevole, arricchente, la vita in facoltà resta umana. Poi questo non riesce sempre, però credo che almeno il tentativo debba essere fatto sempre.
Hai fatto ricerca anche all’estero?
Sì, ho trascorso un anno e mezzo in Danimarca e ho insegnato un anno negli Stati Uniti, alla University of South Florida. Poi ho deciso di rientrare in Italia.
Dunque non sei un “cervello in fuga”?
Il fenomeno dei “cervelli in fuga” non è da sottovalutare, ma ha origini soprattutto economiche. Un dottorando all’estero guadagna tra il doppio e il triplo che in Italia. I laboratori hanno tutto, chi fa ricerca ha tutti i mezzi a disposizione. È chiaro che senza investimenti è una lotta impari.
Qual è la tua visione dell’università italiana?
È buona. C’è molto pessimismo di solito quando si parla di università. Nel mio campo, che è quello che conosco meglio, l’Italia è il terzo paese al mondo per produzione scientifica dopo USA e Regno Unito. Il metodo è buono. All’estero ci apprezzano molto più di quanto possiamo percepire qui. Però servono investimenti. Tagliare sull’università è semplice. L’anno scorso hanno tagliato 75 milioni di euro e se si andrà avanti così la situazione, già critica, diventerà presto drammatica.
Quindi è un problema di politiche sbagliate?
Direi di sì. Negli anni si sono accumulati tanti privilegi, ma sarebbe ingiusto fare di ogni erba un fascio. C’è un mondo accademico che fa ricerca di ottimo livello e che si fa conoscere con stima a livello mondiale. Certamente però la qualità dipende anche dai fondi che si hanno a disposizione. Non è sempre valida l’equazione “più soldi migliore qualità”, però non si può neppure pensare che la ricerca faccia il suo corso senza che ci sia un sistema alle spalle del singolo ricercatore e della sua équipe.
Pensando agli studenti delle scuole superiori in che cosa li incoraggeresti?
La prima cosa che mi viene in mente è di cercare di vedere chiaro i propri obiettivi, i propri motivi di interesse, da cui spesso può dipendere anche la scelta universitaria e quella professionale. Inoltre li inviterei a creare occasioni di scambio, di lavoro in gruppo, luoghi dove sia possibile un confronto. Si cresce solo attraverso il confronto.
Nella vita hai fatto diverse scelte audaci. A che cosa sono state dovute?
Io parlo con molta prudenza della fede, con un certo pudore. Per me la fede è una relazione intima con il Signore, che ha avuto bisogno di un tempo di interiorizzazione. Credo che noi siamo il riflesso di ciò che abbiamo vissuto.
Le nostre esperienza fanno sì che noi siamo quello che siamo. Così è stato anche per me. Non avrei mai scelto quello che ho scelto effettivamente se non avessi avuto alle spalle un percorso nell’Azione Cattolica, nella Gioventù Francescana e nelle parrocchie di Fermo che ho frequentato.
Questa luce non si è mai spenta e ringrazio il Signore perché l’ha sempre tenuta accesa. •
Enrico Brancozzi