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Buono come il pane

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Il cinema italiano “salta fuori” dalle reti degli stereotipi

Il cinema italiano, anche se qualcuno lo dà per morto, ha ancora molte storie da raccontare.
Ci sono film che vogliono mandare un messaggio, senza però riuscirci; ci sono film che oltre al messaggio, offrono un vero e proprio spettacolo scenografico colmo di figure allegoriche, come “Il racconto dei racconti” di Garrone, già visitato in questa sede.
Infine, ci sono quei film che non vogliono elevarsi su altre pellicole, che non cambiano di certo il mondo ma che riescono a far riflettere lo spettatore. Come saltano i pesci di Alessandro Valori appartiene proprio a quest’ultima categoria.
Tutto inizia quando Matteo, un ragazzo di ventisei anni con una vita e una famiglia perfette riceve una telefonata che lo mette a conoscenza di un’agghiacciante verità che riguarda la sua identità e le sue origini. Da qui partirà un viaggio on the road di Matteo, in compagnia della sua sorellina Giulia e di Angela, una ragazza che incontrerà casualmente lungo la strada.
La cosa che subito colpisce lo spettatore è la leggerezza del film: infatti, si parla di una pellicola che dura quasi due ore, ma la sua notevole lunghezza non lo definisce affatto un film noioso. Il regista decide di scoprire le carte un po’ alla volta, e allo spettatore sarà tutto chiaro solo nell’ultimo quarto d’ora. La leggerezza, in questo caso considerata un pregio, è confermata dai momenti spensierati e divertenti che vivono i personaggi. A dare il “la” a tali momenti è Giulia, la sorella di Matteo, il “grillo parlante” della situazione che nella sua ingenuità e nel suo essere bambina diverte lo spettatore, che sia adulto o ragazzo.
Un altro fattore di cui gode la pellicola è quello di una buona scrittura dei personaggi, tanto da renderli veri e riconoscibili sin da subito. A ciò contribuisce la buona interpretazione degli attori, tanto che alcuni di loro risultano essere delle rivelazioni: a partire da Biagio Izzo, che interpreta per la prima volta un ruolo drammatico, a Simone Riccioni, marchigiano nuova leva nel cinema, fino a Marianna di Martino, che oltre a mostrare una bellezza affatto scontata, offre una bravura e una simpatia uniche. Senza poi dimenticare Maria Paola Rosini, la solare e vivace Giulia.
Alla buona sceneggiatura e alla bravura degli attori, in Come saltano i pesci non sempre corrispondono testi di altrettanta qualità: troppe frasi ad effetto messe sulla bocca dei personaggi che in certe situazioni stonano e risultano un po’ melense. Tecnicamente il livello è sottotono. Valori sa girare, lo si può vedere da “Eccomi”, il cortometraggio fatto per l’omonimo libro di Simone Riccioni, ma in questo caso sembra che abbia voluto osare meno. Anche gli splendidi paesaggi marchigiani risentono di una fotografia statica e, forse, economica.
Tuttavia, i limiti non oscurano affatto la pellicola che sa “saltare” dalla commedia al dramma in modo magistrale. Si vanno a toccare argomenti delicati, come il lutto e l’abbandono e soprattutto il valore della famiglia. “Famiglia” è il termine su cui Valori vuole giocare. Un termine che in questo ultimo periodo è stato messo parecchio in discussione. Il regista non pretende di creare una famiglia perfetta come si vedeva tempo fa nelle sitcom americane, anzi mette in luce l’esatto opposto: nessuna famiglia può essere perfetta, ma tutte hanno quel piccolo neo o quello scheletro nell’armadio che si porta dietro a volte per molti anni e che spesso comporta l’allontanamento di alcuni suoi membri. Sono l’amore e, soprattutto, il perdono quei fattori che riusciranno a tenere unita la famiglia, nonostante tutti i suoi problemi e tutti i limiti dei personaggi.
“Come saltano i pesci” è un film paragonabile al pane: buono e semplice. Racconta con sincerità, senza andare troppo sopra le righe, la storia di una famiglia per nulla irreale (come accade in film di vanziniana memoria), ma in cui lo spettatore può rispecchiarsi e guardare in profondità con un sorriso. •

Arianna Fioretti

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