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100 anni e ancora in pantaloncini

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Un secolo di scuola di vita e di fede aperta al territorio e al mondo intero

Il tempo sembra non passare guardando gli Scout che nelle nostre parrocchie sono in maggioranza appartenenti all’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani), nata nel 1974 da una fusione tra ASCI (Associazione scautistica cattolica italiana – Esploratori d’Italia – costituita il 16 gennaio del 1916) e AGI (Associazione Guide Italiane).
Le inconfondibili camicie azzurre che costituiscono parte dell’uniforme con la quale gli Scout si distinguono per il loro servizio e nello stesso tempo si sentono uniti, arricchite dai variopinti fazzolettoni, tutti diversi per indicare la diversa provenienza, fanno ormai parte del nostro mondo cattolico. Nati cento anni fa a Roma per volontà di Mario Carpegna (1856-1924), militare al servizio del Papa ed ispirati quindi ad una proposta scoutistica “più catechetica”, hanno subito nel tempo varie trasformazioni, tra cui la vita clandestina durante il periodo fascista che aveva decretato la chiusura di tutte le associazioni cattoliche giovanili.
Convinti del loro cammino e delle loro tappe, con i propri riti e le proprie tradizioni, oggi gli Scout cattolici spingono le Comunità cristiane ad una fede concreta, tradotta in servizio e creatività: spesso la trasversalità della loro catechesi, rischia di sorvolare sopra la proposta esplicita e convinta dell’incontro con Cristo, in presenza di capi che sempre si sentono in cammino religioso e in ricerca di forme (a volte anche stravaganti!!!), che evitino la verbosità e la noia di una catechesi classica (fatta solo di Parola di Dio e spiegazione). Ma se in Chiesa si sentono più a proprio agio nel fare un servizio più che a recitare una preghiera, gli scout cattolici non disertano nessun tavolo di dibattito politico, sociale, ambientale, giovanile, inter-religioso, pronti ad un confronto serio e leale con la società civile, gioiosi nel dare il proprio contributo per la crescita di un uomo libero ed un mondo migliore di come lo hanno trovato.
Come sacerdote, cresciuto negli anni seminaristici in una comunità scout di una Comunità Parrocchiale, di cui per uno strano disegno della Provvidenza poi mi sono ritrovato a guidare come parroco (e quindi come Assistente Ecclesiastico) posso testimoniare che mai come oggi il Cammino scout può essere profezia per questi tempi, troppo tecnologici, poco attenti a ciò che ci circonda e alla bellezza dell’aria che respiriamo. La capacità di saper far diventare abili le nostre mani per aiutare la comunità in cui siamo inseriti non è un valore secondario ed un modo di dire grazie a Dio per i talenti che sempre dobbiamo trafficare per il bene di tutti. La ricchezza di un mondo da scoprire e da esplorare sono la base della grande esperienza scout, che per noi cattolici è stimolo per cercare di scoprire anche il Cielo e scorgere le impronte del suo Creatore.
Non hanno paragoni esperienze di mondialità come quella vissuta la scorsa estate in Giappone, dove 30.000 Scout (di età compresa tra il 15-16 anni) di tutto il mondo (sono oltre 38 milioni di bambini, ragazzi ed adulti, uomini e donne che in 216 paesi e territori del mondo sono scouts e guide) si sono dati appuntamento per il XXIII raduno mondiale (Jamboree). Lì come ho scritto in un mia riflessione al termine dell’esperienza ho vissuto dentro un’utopia.
Arrivati con largo anticipo, abbiamo faticato a spogliarci delle nostre sicurezze ed entrare in quel mondo reale ma pensato, lontano dalla nostra immaginazione, eppure così concreto. Non avevamo una terra dove posare il capo… ci hanno assegnato un lembo di terra per appoggiare le nostre tende. Non avevamo un riparo per il sole cocente… ci è stato dato un telo di pochi metri per ripararci dal caldo. Non sapevamo chi erano i nostri vicini, ci siamo trovati in mezzo a più di trentamila giovani di 147 nazioni di tutto il mondo, dove Algeria ed America erano confinanti e si stringevano la mano, senza paura di terrorismi o di invasioni.
Non avevamo di che mangiare e ci è stato dato ogni giorno il pane quotidiano, senza scegliere il menù e senza litigare su come dividercelo. Non avevamo poliziotti o vigili… eppure potevi lasciare tutto il giorno il tuo cellulare all’aperto per la ricarica.
Non avevamo, né discoteche, né pub; eppure capivi nei volti dei nostri ragazzi la gioia di aver conosciuto la variopinta umanità, che da sola riempiva il cuore e non lasciava nostalgie di altri mezzi di comunicazione virtuali: i volti reali erano più belli di ogni fotografia.
Non avevamo né chiese, né moschee solo tende per radunare le genti che formavano l’assemblea dei fedeli, il vero volto di Dio, Padre di ogni uomo sulla terra. Avevamo tante persone che volontariamente pensavano al nostro bene, si preoccupavano che tutto scorresse al meglio… e restavano anonime, senza rivendicazioni di riconoscimento o di carriera politica.
Abbiamo vissuto dieci giorni l’utopia di un mondo, irripetibile seppur vero e possibile. Noi l’abbiamo vissuto, per poco, forse troppo poco, per crederci fino in fondo che può essere concepibile; abbiamo pensato tuttavia che può essere raccontato.
Dopo Cento anni lo Scoutismo può divenire sempre più profezia di un’utopia. •

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