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Fermo: Il quinto anno dell'Itet Carducci Galilei in visita alla Casa Circondariale

Una lezione difficile da dimenticare

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Studenti in visita alla casa di reclusione di Fermo

Sono arrivati pieni di emozione e con gli occhi sbarrati per catturare storie e impressioni. Una classe del quinto anno dell’Itet Carducci Galilei è stata in visita alla Casa di reclusione di Fermo, per un incontro con il gruppo di detenuti che fa parte della redazione della rivista l’Altrachiave news. A guidarli gli insegnanti Roberto Cifani e Maria Grazia Senatori, i ragazzi hanno avuto l’opportunità di entrare direttamente all’interno della sezione, scortati dagli agenti di polizia penitenziaria e dal comandante Loredana Napoli con il collega Nicola De Filippis. Un momento che è il risultato di un importante lavoro di preparazione e di riflessione sulla legalità, come ha spiegato il docente Cifani: “Io insegno diritto ma ogni volta che porto i ragazzi qui dentro, e questo è il terzo anno consecutivo, ho l’impressione di consegnare loro qualcosa di vivo e di vero, una lezione che non si dimentica”.
Forte l’impatto con la realtà carceraria, occhi lucidi e un po’ di tensione per i ragazzi che hanno attraversato le celle in silenzio, con grande attenzione e dimostrando rispetto e considerazione.
L’incontro vero e proprio nella sala riunioni della redazione che è anche la biblioteca, sala computer e aula scolastica. Il responsabile dell’area trattamentale Nicola Arbusti, insieme all’educatrice Lucia Tarquini, hanno introdotto i ragazzi nella quotidianità di un carcere, per far capire loro le difficoltà di chi si trova a vivere un percorso tra quelle mura ma anche di chi ci lavora. Molto colpiti i ragazzi che hanno fatto domande, hanno chiesto della libertà che manca, degli affetti negati, del senso di colpa che ci può essere. Si è parlato del concetto di giustizia, i detenuti hanno cercato di dare l’esempio della loro esperienza, per dire ai ragazzi che si fa presto a sbagliare, più difficile è ricominciare a camminare. Padri di famiglia, hanno parlato dei figli lontani e della quotidianità persa, della libertà preziosa, della convivenza forzata che si vive tra le mura del carcere. “Abbiamo capito che siete esseri umani come noi”, hanno concluso i ragazzi. Hanno ammesso di avere pregiudizi e attese sbagliate. Hanno confessato una preoccupazione che poi si è dimostrata infondata. Gli stessi agenti di Polizia Penitenziaria hanno raccontato il loro lavoro, spesso sconosciuto, fondamentale per gestire al meglio il percorso di rieducazione delle persone che dentro un carcere devono tentare di ritrovare un’esistenza migliore. I ragazzi sono usciti con una diversa consapevolezza, più attenti e maturi di come erano entrati, grati del raggio di sole che hanno ritrovato fuori e della libertà che assume un valore diverso. •
Eleonora Consoli

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