Il respiro della speranza dietro le sbarre

Stampa l articolo

La testimonianza di Mauro Trapè, assistente volontario nel carcere di Fermo.

Sono Mauro un volontario presso il carcere di Fermo. Oddio, il carcere…!!! Avrei piacere di sapere cosa ne pensate del carcere. Se devo dirvi la mia, fino a tre anni fa, io sapevo dell’esistenza del carcere a Fermo, perché c’è la fermata dell’autobus. Cosa e chi c’era dentro sinceramente non mi interessava: “Chi sta la dentro è perché ha fatto qualcosa ed è bene che stia li, anzi, troppo poco” Questo pensavo fino a pochi anni fa. Se sentiamo parlare di carcere spesso proviamo un sentimento di indifferenza, oppure pensiamo sia un ambiente protetto per persone che meritano di stare li, punto, problema chiuso!.
“Non c’è pace senza la cultura della cura, non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli ed emarginati, non abituiamoci a voltare lo sguardo, ma impegniamoci ogni giorno concretamente per formare una comunità composta da fratelli che si accolgono prendendosi cura gli uni degli altri. Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza e dello scarto”. (Dal messaggio di Papa Francesco per la LIV giornata mondiale della pace) Questo è quello che cerco di fare nei colloqui con le persone che incontro in carcere. È vero che chi ha fatto un errore, chi è stato mancante nei confronti della legge meriti la condanna, perciò la privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si sconta. Ma la speranza non può mai venir meno! Una cosa infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto, altra cosa, invece, è il respiro della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Se Dio spera, allora la speranza non può essere tolta a nessuno. Ecco perché una punizione è giusta solo quando tende al recupero e al reinserimento sociale della persona. Ogni uomo va riabilitato, quindi per costruire la pace si deve far crescere la giustizia. Se non cerchiamo di riabilitare, educare l’uomo, allora cancelliamo dal vocabolario la parola speranza. Dio vuole la morte del peccatore, o vuole che si converta e viva?
Voi pensate che in un bambino esista la predisposizione genetica al delitto? Esistono, però di certo, persone che vengono influenzate a compiere delitti. Ecco perché l’uomo, anche il più cattivo, non potrà mai essere il suo errore: rimarrà un frammento di bellezza, deturpatasi si, ma da restaurare per riportarla allo splendore originario. Lo splendore della creazione. ( Giorgio a 6 anni portava un pacchettino agli amici dei genitori, ma non era un regalo, dentro al pacchetto c’era la droga. Come può crescere Giorgio e cosa pensate che nella vita possa fare? Oggi Giorgio, ex detenuto, grazie a Dio è al nord e sta lavorando)
Gesù nel raccontarci la parabola del figliol prodigo, o meglio del Padre misericordioso, ci ricorda che il figlio era andato con le prostitute, aveva spacciato, qualche truffa l’aveva fatta perché si era speso tutti i soldi. Chissà se fosse stato preso con quale capo d’accusa lo avrebbero arrestato. Ma il Padre (Dio), si comporta in maniera completamente diversa. Lo accoglie e lo ama, ridandogli la dignità di figlio.
Nel cuore di ognuno di noi non esiste luogo che non può essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia di Dio, per suscitare pentimento e perdono, riconciliazione e pace.
A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere nei detenuti solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”.(queste sono parole di Papa Francesco) Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni. Sappiamo infatti che nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto, dice la lettera ai romani (cfr Rm 2,1-11). Ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono! Il ladro pentito, crocifisso insieme a Gesù, lo ha accompagnato in paradiso. Dio, dice Matteo al capitolo cinque, fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Questo è quello che penso ogni volta che entro in carcere.
Il compito dell’assistente volontario è descritto nell’art.78 della legge sull’ordinamento penitenziario
L’amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all’assistenza e all’educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all’opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Forse un piccolo gesto di amore che qualcuno non ha mai ricevuto lo può aiutare a cambiare vita. Quando sono davanti ad un detenuto devo abbandonare il desiderio di dominare gli altri o di giudicarlo, non spetta a me farlo, lo considero un fratello, una persona, un figlio di Dio. L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va amato per la promessa che porta in sé.
Solo scegliendo la via del rispetto si potrà rompere la spirale della vendetta e intraprendere il cammino della speranza.
Ogni incontro, ogni colloquio, deve diventare per l’altro la possibilità di aprirsi al dono d’amore generoso di Dio. Tutti siamo chiamati a far incontrare l’amore di Dio ad ogni persona.
Piccola storiella
C’è un bambino alle elementare che si comporta malissimo: fa i dispetti ai propri compagni, dice parolacce ai professori e ad un certo punto ruba delle cose e dopo una serie di richiami decidono di espellerlo dalla scuola. Plotone di esecuzione degli insegnanti, il bambino accompagnato dal bidello va verso l’uscita. Questo è un bambino orfano, abbandonato. Una maestra mentre lui esce, quando si trova il bambino davanti scoppia in lacrime, allora lui si ferma, torna indietro, la abbraccia, e gli dice: “da ora in poi mi comporterò bene”. La maestra gli chiede: “perché?, perché solo ora hai deciso di cambiare?”. Il bambino risponde “Perché nessuno aveva mai pianto sulla mia vita, aveva pianto per me”.
Tu hai mai avuto qualcuno che ha pianto per te?
Quando esco dal carcere spesso sto male per aver ricevuto i racconti dei detenuti; qualche volta mi sono fatto anche dei pianti perché il dolore e la fatica del detenuto è stata condivisa, e un po’ è salita sulle mie spalle. Quando si condivide la vita con qualcuno, questo qualcuno fa parte della tua pelle, diventa tuo.
Cerchiamo la pace, legandoci alla speranza di costruire la pace con piccoli gesti, per quelli grandi, fortunatamente ci pensa Dio. •

Mauro Trapè, Assistente volontario del carcere di Fermo

Rispondi