Pochissime società a capitale prevalentemente statunitense stanno affermando, a livello planetario, idee partite da un’esigua minoranza. Si pensi, per esempio, alla ri-creazione dell’essere umano secondo le categorie gender-fluid, che potrebbero essere proposte-imposte all’infanzia da marchi multimediali insospettabili; ma si pensi anche alla riduzione utilitaristica dell’essere umano a soggetto produttivo; oppure all’ipertrofica idea di libertà del “faccio ciò che voglio”; oppure alla genitalizzazione sempre più precoce.
In questo scenario, la musica ha due funzioni privilegiate: quella di sherpa, che apre strade nuove nelle coscienze delle nuove generazioni, e quella di architetto, che ri-progetta le gerarchie valoriali. Inoltre, nell’epoca della percezione iconica, evocativa e non-logica, la musica interessa tutti i canali di comunicazione: radio, televisione, cinema, fiction, web, social network, eventi live; possiamo perciò dire che la musica è per-formatrice culturale e che le nuove generazioni stanno ri-modulando la loro vita su modelli affascinanti nel brevissimo periodo, ma che non saziano la fame di bellezza, verità e bontà.
Parallelamente, gli educatori – ed ancor più gli educatori alla fede – sostengono con difficoltà l’uso consapevole e critico dei prodotti musicali mass-mediali, divenendo loro sostenitori anche quando sono palesemente in contraddizione con i valori che essi stessi propongono nei processi educativi. Di conseguenza, in ogni angolo d’Italia e pure in occasione di alcuni raduni ecclesiali giovanili, vediamo che l’invito agli artisti viene fatto in base alla notorietà, alle comparse nei reality-show, al seguito che si presume abbiano e non per il valore antropologico del loro progetto artistico, per cui, ad esempio, possiamo trovare su un palco ecclesiale un artista che normalmente, anche se non in quel momento, invita o induce a fumare cannabis.
E lo troviamo come una star al centro della scena, accreditato agli occhi dei nostri figli da coloro cui li abbiamo affidati per educarli alla vita e alla fede.
Il dialogo esigerebbe di entrare in relazione preventiva con quell’artista per aiutarlo, sempre ad esempio, a prendere coscienza che non è né bene, né rispondente a quanto scientificamente dimostrato, raccontare che farsi le canne è normale, fa bene e fa pure stile.
In questo scenario, occorrerebbe definitivamente comprendere che i progetti artistici non sono neutri e che il successo non può mai essere il criterio unico per la loro approvazione; anzi, occorre divenire costruttori del successo di progetti artistici belli, veri e buoni, non in contraddizione ed in linea con i processi educativi. Altrimenti, a fianco di artisti famosi rischiamo di avere un numero crescente di educatori fumosi. •
Marco Brusati