La famiglia resta un luogo essenziale per imparare a decifrare i propri sentimenti e a vivere con gli altri senza prevaricare.
Questo è un lungo messaggio rivolto alle mamme e ai papà. Ci vuole tempo per leggerlo. E per rifletterci su. Ma spero sia utile a noi genitori. E sia possibile leggerlo anche ai nostri figli, sia ragazzi che ragazze. Penso a questo messaggio da settimane, dopo aver letto le troppe storie di femminicidio che hanno riempito la cronaca nera. Penso davvero che, anche grazie alla mia professione, ai miei libri, alla mia pagina facebook, posso aiutare tutti, me compreso, a riflettere su questo tema. A confrontarsi tra generazioni. Perché le storie dei femminicidi sono tutte orribili, e tutte, purtroppo molto simili. Donne uccise da compagni che, nell’estremo tentativo di non farle andare via da una relazione, le rubano a qualsiasi altra relazione. Le rubano alla vita. C’è un problema enorme nel mondo dei maschi: è l’incapacità di trasformare le emozioni negative in parole che sanno chiedere aiuto, in gesti che rinunciano alla violenza. È l’incapacità di tollerare la frustrazione di sentirsi impotenti, all’interno di una comunità di maschi che ti chiede di essere sempre forte e virile. È l’incapacità di accettare che si può essere deboli, che ci si può sentire inadeguati, che si può essere rifiutati. Come genitori abbiamo il dovere di insegnare ai nostri figli maschi a rispettare i “no” che si sentono dire, a comprendere qual è il confine tra negoziazione e prevaricazione, a lavorare sulla propria competenza, che spesso chiede di rinunciare alla dimensione della potenza. La virilità non è un attributo muscolare, non è un’azione violenta, non si afferma con un calcio, uno schiaffo, un pugno, uno spintone. La virilità che serve ai nostri figli è accettazione dei propri limiti, è la capacità di intuire ciò che in una relazione genera una sofferenza irrisolvibile. Tutti i dibattiti su questi temi sono frequentatissimi dalle donne. Ma penso che sarebbe ora che noi genitori accompagnassimo anche i nostri figli maschi a questo genere di incontri. Perché si rendano conto, perché sappiano cosa dire e cosa fare non solo quando sono coinvolti in una relazione di cui non riescono a “tenere le fila”, ma anche quando sentono che i loro amici, i loro colleghi maschi stanno perdendo la “bussola” che permette loro di rimanere orientati. Una delle notizie che ho trovato più sconvolgenti in queste settimane è quella relativa ad un femminicidio occorso circa un mese fa, quello di un uomo che – prima di uccidere la ex moglie – ha inviato decine di sms agli amici e alle persone che sentiva più vicine, scrivendo frasi come: “Deve morire e anche io devo morire. Non voglio andare in galera. L’aspetto in auto, l’accoltello alla gola e poi mi ammazzo”. L’uomo ha scritto numerosi sms ad altri uomini ricevendone in risposta messaggi del tipo: “smettila di dire cazzate”, “lascia perdere”, “smetti di guardare su internet”, “non ti ucciderai, smetti di dire queste cose”.
Nessuno ha avvertito nelle frasi dell’uomo e nel suo delirio il rischio di vita per la sua ex moglie. Nessuno si è attivato per proteggerla, nessuno ha intuito l’importanza di aiutarla a mettersi in salvo. Penso che se questo genere di messaggi fosse stato scambiato tra donne, l’allarme sarebbe scattato immediatamente e forse la morte di due persone sarebbe stata prevenibile. Ecco, in questo fatto di cronaca nera così terribile, io vedo il silenzio educativo in cui sono lasciati moltissimi maschi. Per questo invito madri e padri a riempirlo questo silenzio educativo. Ad intervenire ogni volta che un figlio, fin da piccolo, usa la forza e le mani per risolvere un conflitto. A criticare ogni forma di violenza venga magnificata nei telefilm o nei videogiochi, di cui moltissimi ragazzi risultano “addicted” e all’interno dei quali le donne sono “bambole” del sesso da catturare e predare al fine di farci sesso, col semplice scopo di aumentare il proprio punteggio (vedi il popolarissimo Grand Theft Auto). C’è da fare. C’è molto da fare.
Parlo di tutto questo e di molto altro ancora nel mio libro “Bulli e pupe. Come i maschi possono cambiare. Come le ragazza possono cambiarli” (Feltrinelli ed.). Dedico un intero capitolo al tema del “rispetto del no” di chi ci sta di fronte. Un tema cruciale per noi maschi. Scrivo ai ragazzi e alle ragazze questo:
«Che cosa ci succede quando in Amore ci troviamo di fronte a una donna che ci dice no? Perché pensiamo che essere amati comporti che la donna al nostro fianco ci debba obbedienza assoluta? Nei femminicidi, il copione è quasi sempre lo stesso: un uomo che si sente dire “No” dalla propria compagna (o perché viene abbandonato, o perché viene tradito, o semplicemente perché è minacciato – all’interno di un conflitto – di essere lasciato) ricorre alla propria forza fisica e la aggredisce, fino a ucciderla, come estremo tentativo di ricondurla all’obbedienza. Perché un uomo non può accettare che una donna gli dica no.
Noi maschi dovremmo allenarci ad ascoltare e rispettare i no delle donne, delle ragazze e delle femmine con cui veniamo a contatto nel nostro percorso di vita. A partire dalle nostre mamme. Che a volte sono così stanche ed estenuate, che di fronte all’ennesima richiesta del loro figlioletto di fare questo o quello provano a dirgli: “Adesso basta, bambino mio. Non ce la faccio proprio più”. E quelle mamme che spesso si sentono in colpa perché provano per cinque minuti a non essere totalmente disponibili verso il loro piccolo cucciolo tiranno, dovrebbero invece sentire che lo stanno aiutando a imparare la fatica e la frustrazione di ascoltare un “no” che ha senso, un “no” col quale lui deve imparare ad empatizzare e sintonizzarsi. Perché più avanti, ci saranno i no di altre ragazze e donne che vorranno stare in relazione con lui, ma non vorranno adeguarsi al copione dell’obbedienza. Un copione che alle donne ha fatto molto male. E che spesso comincia con un “Non essere cattiva” detto ad una bambina che prova a rispondere no ad uno zio che vorrebbe un bacio mentre lei è intenta a leggere un libretto sul suo passeggino.
Noi maschi ne abbiamo davvero tanta di strada da fare in questo senso. E abbiamo bisogno di ragazze che ci aiutino a farla insieme a loro questa strada, che a volte ci sembra troppo complessa. O troppo in salita. Dovremmo imparare a discutere tra di noi, ragazzi e ragazze, ciò che una grande psicologa, Asha Phillips ha scritto a proposito del no, ovvero: “Un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro o una prevaricazione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità” e ancora “Dire no può essere estremamente liberatorio per entrambi i partner, perché incoraggia le differenze di idee e offre un’occasione di cambiamento”.
Cosa vuole dirci Asha Phillips? Secondo me una sola cosa: ovvero che alcuni no non significano disobbedienza, ma l’esatto contrario. Ovvero rispetto dell’altro. So che tu sei così intelligente da avere un sacro rispetto del mio no. Un no che non dico per offenderti o per rifiutarti, ma per far sì che tu, grazie al mio no, mi rispetti ancora di più. E nel tuo rispetto e col tuo rispetto, il mio no per te diventa un vero e proprio atto d’amore. Verso me stessa. E verso te che chiedi di amarmi.
Mai pensato che questa frase potrebbe rappresentare la base per una grande storia d’amore? Mai creduto che la vera capacità di amare dipende dalla libertà che i due amati hanno di dirsi reciprocamente dei no?
Forse è da questi “no” pieni di rispetto che una ragazza può riconoscere chi tra noi maschi è un vero uomo. E anche un uomo vero. Nel senso più completo del termine». •
Tratto dal volume “Bulli e pupe. Come i maschi possono cambiare. Come le ragazze possono cambiarli”, Feltrinelli Ed., 2016
Alberto Pellai
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