Riflessioni sul senso della punizione nell’azione educativa
Il nostro parroco ci ha interrogati sul valore del “castigo” per noi educatori in varie realtà: famiglia, scuola, gruppi parrocchiali.
Questa domanda ci ha costretti a compiere alcune riflessioni per giungere a delle semplici conclusioni.
Il castigo o meglio la punizione è un’opportunità, ma anche un’arma che può diventare molto pericolosa se non viene finalizzata e non assume una valenza educativa.
Bisogna spostare l’obiettivo dal soggetto all’oggetto: non andiamo a “punire il bambino o le sue emozioni, ma andiamo ad interrompere il suo comportamento sbagliato. Non è il bambino “cattivo” ma è la sua azione errata, ha commesso uno sbaglio, ma non è lui sbagliato. Allora la punizione, a cui si dovrebbe far ricorso solo raramente, assume un senso, non tocca l’identità del soggetto, non lo umilia, non lo mette in ridicolo di fronte agli altri, ma va ad agire su un’azione che non è accettabile.
Il castigo non può essere posticipato o retroattivo, ma deve avere la caratteristica dell’immediatezza, deve essere contestualizzato ed apparire chiaro e comprensibile, adeguato all’errore commesso ed all’età.
Una volta constatato che il messaggio è arrivato, è stato capito e preso sul serio, bisogna dichiarare chiuso l’incidente, lasciando sempre aperta una via di uscita e la sicurezza che il rapporto con la mamma, il papà, l’insegnante o l’educatore non si è interrotto, anzi si è fortificato.
Se non avviene ciò si rischia di lasciare il bambino nell’ansia che qualcuno non gli voglia più bene come prima e nella convinzione di essere “cattivo”, perché gli si è voluto attribuire questo ruolo che lui si sente addosso come le sbarre di una prigione da cui è molto difficile liberarsi. È un ruolo che deve giocarsi anche se, a volte, è scomodo anche per lui. Ci rispondeva un ragazzo che faticava a contenere alcuni comportamenti.
“Io sono nato cattivo e muoio cattivo”.
I genitori lo punivano troppo spesso e l’avevano convinto che per lui non c’era via d’uscita!
È il caso, invece, di rassicurare, di concedere fiducia e di approfittare di certi momenti per rinsaldare il valore e la consapevolezza delle “regole” che in ogni ambiente educativo devono essere presenti e il più possibile condivise ed accettate.
È bene che il bambino sia abituato anche a rimediare nei limiti delle possibilità all’errore commesso, magari chiedendo scusa, se il suo comportamento ha offeso qualcuno, ma il tutto con una forte spinta verso la responsabilizzazione e l’avvio all’ autodisciplina. In questo modo non si finirà mai di dare un’altra possibilità e soprattutto si alzerà lo sguardo verso il futuro, che potrà essere migliore, se ognuno riuscirà a convincersi che si vive meglio rispettandosi e rispettando gli altri. •
Orestina Papiri