Le canzoni non sono solo banali canzonette

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“Le parole” di Luca Carboni e “Ho perso le parole” di Luciano Liguabue

Nel suo Album “Luca” del 2001, il cantautore Luca Carboni trasmette messaggi molto semplici, che nascono dall’esperienza quotidiana, ma non per questo meno importanti e profondi. La canzone Le parole dà l’opportunità di fare una riflessione su quella forma di comunicazione umana che è il linguaggio.

La parola “terra”,
la parola “amore”
le parole dette piano
che poi restan dentro al cuore
la parola “pane”,
quelle di rabbia e di dolore
e parole un po’ ubriache
che viaggiano da sole
La parola “si” e la parola “no”
le solite parole,
quelle che ci annoiano
le parole scritte con la tua calligrafia
qui dentro ad un cassetto
dell’anima mia.
Tu scrivimi raccontami, fammi vedere il mondo un po’ con gli occhi tuoi.
Scrivimi, tu come stai, fammi restare un poco dentro ai giorni tuoi.
La parola “mare” e la parola “sole”
le vecchie parole e parole di rivoluzione
quelle provate e riprovate
ma che poi non escono
e parole che fan male
e che ci cambiano…
e pezzi di parole tra i singhiozzi
di un bambino
e parole che alla sera
si appoggiano sul comodino
e quelle che restano dentro
non escono e lo sai
che poi ti addormenti
e forse non sono esistite mai…

Le parole dette… le parole scritte…
Il linguaggio verbale è una delle forme primarie di comunicazione. Grazie alla parola gli uomini possono comunicare ed entrare in relazione tra loro. La parola ci svela all’altro creando una relazione di reciprocità. Abbiamo bisogno di comunicare e perciò abbiamo bisogno di parlare, di pronunciare parole. E mai come oggi l’uomo ha avuto tanti strumenti per comunicare. La “civiltà della comunicazione”, con mezzi sempre più potenti e all’avanguardia, ha infatti ampliato le possibilità di espressione e di comunicazione per gli uomini del nostro pianeta. La comunicazione oggi diventa sempre più “mediata” dai grandi strumenti. Oltre alle parole dette, (trasmesse via etere o via cavo), ci sono anche quelle scritte (veicolate da libri, riviste, quotidiani, “e-mail”, messaggi su telefonini…). Se, da un lato, ciò è un vantaggio, in quanto si accorciano tempi e distanze, dall’altro, però, è un limite, in quanto si riduce lo spazio della dimensione interpersonale e diretta della comunicazione. Parlare senza avere più davanti un “tu”, un volto come interlocutore, può svuotare la comunicazione del suo valore umano. È il rischio della civiltà virtuale da cui bisogna sempre guardarsi. Forse, ogni tanto, dovremmo ritornare a gustare il calore della parola detta “a tu per tu” e il fascino di una lettera scritta a mano ai nostri amici, perché le cose che rimangono – come dice Luca Carboni – sono “le parole scritte con la tua calligrafia / qui dentro a un cassetto dell’anima mia”.

Le parole dette piano che poi restan dentro al cuore… quelle di rabbia e di dolore
Le parole sono il riverbero del nostro mondo interiore, esternano i nostri sentimenti profondi: amore, amicizia, rabbia, dolore, gioia… A volte, però, possono anche assumere uno stile violento, volgare, come quello della bestemmia, che per molti giovani, soprattutto, è una forma di esibizione, una maniera prorompente di imporsi. È, questa, una tentazione da cui guardarsi. Lo stesso S. Paolo ce lo dice: “Nessuna parole cattiva esca più dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone, di edificazione, secondo le necessità, per fare del bene a chi ascolta”. (Ef 4,29)

La parola “si” e la parola “no”
Le parole sono anche lo specchio delle nostre decisioni e delle nostre scelte, da quelle piccole, quotidiane a quelle grandi che ci impegnano per tutta la vita, senza indugi e compromessi. Se vivere è scegliere, vivere è dire continuamente dei “si” e dei “no”avendo come riferimento una solida scala di valori.

Le vecchie parole e parole di rivoluzione
Le parole devono saper valorizzare l’eredità della tradizione, delle cose antiche, ma anche esprimere il coraggio del cambiamento là dove e quando sia necessario. E a volte servono parole coraggiose, parole che “osano” in nome di un bene maggiore per tutti. La Bibbia, a tal proposito, ci presenta alcune figure di profeti che hanno osato sfidare il potere politico e religioso del tempo per smascherare le ingiustizie sociali e richiamare al senso di Dio. (cf Amos, Geremia…)

Parole che fan male e che ci cambiano
A volte servono anche parole che fanno verità dentro di noi, anche se ci feriscono perché toccano il nostro orgoglio. La verità fa male! Ma se accettata con umiltà avrà come frutto una trasformazione interiore, una crescita. La Parola di Dio (la Verità rivelata), soprattutto, ha questo potere in noi: “E’ viva ed energica e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra fino all’intimo dell’anima e dello spirito… e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb. 4,12). Perché la comunicazione tra gli uomini sia vera ed efficace, ha perciò bisogno di nutrirsi di questa Parola, che è l’humus di ogni altra parola detta o scritta. Gesù (Parola incarnata) nel Vangelo lo ribadisce con forza: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. (Mt 4,4) •
Pino Fanelli da “Se vuoi”

Il ladro della Parola

Ho perso le parole
eppure ce le avevo qua un attimo fa
dovevo dire cose cose
che sai che ti dovevo che ti dovrei.
Ho perso le parole può darsi
che abbia perso solo le mie bugie
si son nascoste bene forse però
semplicemente non eran mie.
Credi credici un po’ metti insieme
un cuore e prova a sentire e dopo
Credi credici un po’ di più davvero.
(…)
Ho perso le parole
oppure sono loro che perdono me
io so che dovrei dire cose che sai
che ti dovevo, che ti dovrei.
Ho perso le parole
Vorrei che ti bastasse
solo quello che ho
mi posso far capire anche da te
se ascolti bene se ascolti un po’.
(…)

“Ho perso le parole”canta Ligabue in una canzone del 1998. Forse, aggiunge il cantautore “Sono loro che perdono me”. Oppure “può darsi che abbia perso solo le mie bugie”…
Chi non ascolta non sa parlare. Ed è per questo che non si trovano più le parole. O meglio. Si dicono tante parole per non dire niente. È quel fruscio di fondo a cui non si fa più caso. Le parole non servono più ad esprimere la verità che è inconoscibile. Nascondono la nostra bugia, la nostra povertà, la nostra afasia.
Chi ha rubato le parole?
Mons. Luigi Conti, durante il conferimento del lettorato a Casette d’Ete ha espressamente detto che il ladro di parole è il Diavolo. E ha messo in guardia i ministri della Parola a vincere la tentazione di “farsi rubare la Parola dal Diavolo”.
Diavolo vuole dividere, separare il Figlio da Padre. Il tentatore vuole scomporre quell’ordine secondo il quale il figlio fa la volontà del Padre. Le parole non sono più Parola. Diventano solo rumore. Mancano di profondità, di spessore, di realtà.
C’è allora da chiedersi cosa vuol dire oggi essere “ministro della parola”? Cosa esprimono le omelie? I lettori che ogni domenica dall’ambone proclamano la Parola di Dio, hanno coscienza di quello che fanno?
E i componenti dei Consigli Pastorale Parrocchiali da dove derivano le loro parole? Tutti hanno perso il dono di un parlare franco: sì sì, no no.
La Chiesa stessa forse ha perso il dono della Parola. Per fortuna Papa Francesco sta parlando con tanti gesti.
Le parole hanno perso il loro valore, il loro senso. Sono vuote. Chi potrà ritrovarle? Chi abita il silenzio. •

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