Discalculia e dislessia sono disturbi nel calcolo e nella lettura
Ho insegnato per decenni ai bambini delle Scuole Elementari. Scuole che col tempo hanno cambiato non solo stile, programmi, contenuti, metodi ma anche nome chiamandosi con una forma fredda e quasi asettica: Scuola Primaria di primo grado. Di esperienza ne ho maturata tanta ma ciò che più ricordo con tenerezza e affetto sono i bambini in “difficoltà” che richiedevano, rispetto ad altri, maggiore attenzione e massima delicatezza. Fra i vari ostacoli da affrontare e da risolvere ce n’erano due piuttosto importanti: la discalculia e la dislessia. Grazie alle varie specializzazioni acquisite nel corso degli anni all’Università e i vari Corsi di formazione incoraggiati da Presidi attenti nel guardare in faccia i problemi, ho potuto evitare di sbagliare il meno possibile. Io stessa da bambina ero affetta da dislessia causata anche dal mancinismo contrastato all’età di otto anni, quando già sapevo scrivere e leggere. La discalculia è la difficoltà che i bambini incontrano con i numeri e spesso si presenta associata alla dislessia. È un disturbo specifico del sistema dei numeri e del calcolo, senza che vi siano lesioni neurologiche e problemi cognitivi generali. Si manifesta nonostante un’istruzione normale, un’intelligenza adeguata, un ambiente culturale e familiare favorevole.
La discalculia può essere primaria, quando rappresenta il disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche. Secondaria, se associata ad altri problemi di apprendimento, quali la dislessia, la disgrafia, ecc. Bisogna intervenire all’origine e non sul disturbo di calcolo in sé per avere risultati soddisfacenti. Cosa fare? Quando in famiglia ci si accorge del problema si possono avere sentimenti di ansia, non accettazione, frustrazione. Se ci si lascia coinvolgere da questo tipo di vissuti non si aiutano i bambini a superare positivamente il disturbo.
È importante cercare di capire che cosa significhi la discalculia e quali difficoltà anche psicologiche debba affrontare il bambino. Solo in questo modo si potranno portare avanti le modalità e le strategie più adeguate.
Compito dei genitori: informarsi il più possibile, cercare una valutazione diagnostica appropriata, parlare del problema con tutti i docenti, evitare di incolpare se stessi o gli insegnanti. Inoltre: contattare associazioni che si occupino dei disturbi dell’apprendimento, aiutare il bambino nelle attività scolastiche, in particolare con esercizi divertenti, utilizzando e giocando anche con oggetti della casa. Associare l’apprendimento delle tabelline con filastrocche e canzoncine in rima. Aiutare il riconoscimento delle grandezze utilizzando oggetti della vita quotidiana (bottoni, caramelle, ecc.) Promuovere delle “gare” tra adulto e bambino in cui, dopo vari calcoli, si mette in palio alla fine del gioco, una piccola e gustosa ricompensa. Importante è rinforzare il bambino nei successi che ottiene e aiutarlo verso una buona autostima. In tal modo il bambino affronterà le attività scolastiche in modo divertente, stimolato nelle domande e nei suoi interrogativi. È importante confrontarsi con il bambino anche su tematiche generali quali amicizie, divertimenti, interessi, sport, ecc. Supplire il disturbo con strumenti compensativi: computer e programmi appositi sulla discalculia, tavola pitagorica, uso della calcolatrice, ecc…
La Dislessia invece comporta difficoltà di grado lieve, medio o severo nella lettura e nella comprensione dei testi e dei numeri, nella memorizzazione delle definizioni, nella memorizzazione dei termini specifici.
Anche un disturbo della letto-scrittura, da solo, può comportare difficoltà in matematica, più o meno importanti a seconda del grado di dislessia e della classe frequentata dal bambino. Più questi procede nella scolarizzazione, più le richieste aumentano e con esse le difficoltà in matematica, legate alla comprensione dei testi dei problemi ed alla concettualizzazione astratta, soprattutto sul canale verbale.
In generale, lo studente con dislessia non ha un rapporto “naturale” con l’apprendimento. Non è sufficiente ascoltare per capire ed imparare, ma necessitano spiegazioni concrete e sperimentabili.
La Dislessia non è un problema solo per la lettura. I bambini alle prese con questa difficoltà, spesso hanno affrontato con fatica il linguaggio nei primi due/tre anni di vita: vocabolario rimasto povero, pronuncia non corretta delle parole, uso di frasi costruite in modo non del tutto corretto.
L’uso del linguaggio è alla base delle attività didattiche ed è per questo motivo che alcuni casi di Dislessia sembrano “nascere” durante gli anni della Primaria. Il contesto scolastico mette in luce problematiche già presenti. C’è anche da ricordare che il bambino con Dislessia è particolare anche quando non legge: usa parole diverse tra loro pensando che significhino la stessa cosa, oppure ha poco interesse a parlare e fatica ad imparare la terminologia specifica delle varie materie. Non memorizza parole nuove con facilità quando ascolta, potrebbe non comprendere del tutto il senso di ciò che gli viene detto.
Quale aiuto si può dare ad un figlio dislessico? Per esperienza personale, per un genitore non è semplice capire che il proprio bambino che in tante situazioni familiari e sociali è sveglio, intelligente, vivace e brillante, non riesca come gli altri a leggere in forma fluida e corretta. Così come non è semplice capire che, per affrontare questo disturbo, il bambino abbia bisogno di un intervento specifico e individualizzato.
Quindi? Informarsi il più possibile anche presso l’Associazione Italiana Dislessia.
Cercare una diagnosi appropriata. Cercare strategie di aiuto che possano favorire l’apprendimento. Scambiare esperienze con altri genitori che affrontano il medesimo problema. Discuterne con tutti gli insegnanti evitando di cambiare classe o scuola al bambino. Non parlare con il bambino solo di argomenti di scuola. Non incolpare sé stessi o gli insegnanti. Affiancare il bambino nelle attività scolastiche rinforzandolo in ogni successo anche minimo. Sostenerlo con la fiducia. Affrontare la lettura in modo divertente e ludico stimolando la sua curiosità.
Evitare i confronti con gli altri rispetto agli errori e alla lentezza che impiega nei compiti che svolge a casa. No a punizioni eliminando le ore di gioco e le attività di socializzazione ed evitare di sottoporre il bambino a esercizi interminabili e non producenti di lettura o copiatura. Utilizzare strumenti tecnologici e fare delle brevi pause durante lo svolgimento dei compiti. Sostituire la lettura con altre fonti di informazione: video, CD, DVD ecc…
La riabilitazione non si risolve in breve tempo ma richiede lunga durata e buona capacità di gestire la frustrazione sia da parte del bambino che del familiare. I bambino dislessico, come già detto, si sente spesso inadeguato rispetto alla realtà scolastica. È svogliato e poco partecipe alle attività scolastiche. Capisce che rispetto ai suoi compagni ha più difficoltà nella lettura, nello scrivere e in genere nello svolgimento delle attività scolastiche. Se gli adulti intervengono colpevolizzandolo, si mina la sua autostima causando ansia di prestazione, demotivazione all’apprendimento, perdita di fiducia in sé stesso, opposizione, depressione e disturbi della condotta. La mancanza di autostima può aggravare ulteriormente il problema della dislessia rendendo così più difficile portare avanti con successo i programmi di riabilitazione iniziati e l’apprendimento scolastico più in generale.
Mi piace ricordare e condividere una frase di Lou Ann Walker, un’autrice e una professoressa che ha ideato un programma di scrittura e letteratura creativa presso Stony Brook Southampton. Il suo memoriale “A Loss for Words” ha ricevuto un Christopher Award per gli alti standard della comunicazione. Afferma: “Le teorie e gli obiettivi dell’istruzione non importano un accidente se non consideri i tuoi studenti come esseri umani.” •