Don Vincenzo Galiè ha lasciato questo mondo il 17 febbraio
Così, anche don Vincenzo Galiè ci ha lasciati sabato 17 febbraio. Ne ho avuto notizia mentre ero alla marcia per la pace a Civitanova. Il tempo di andare a casa e collegarmi con il sito della diocesi e avere la conferma. Domenica 18, di mattino sono andato subito presso la chiesa di Sant’Anna di Porto Potenza Picena per un saluto e una preghiera davanti alla sua salma. Stava ricoverato da circa un anno don Galiè presso il “Santo Stefano” a seguito di una ischemia che lo aveva colpito e non gli aveva permesso più di stare dietro alle sue amate ricerche sul mondo romano e alto medievale. Autore di ben ottantacinque libri è stato l’innovatore della topografia antica. Con le sue ricerche, frutto di studi lunghi e appassionati su documenti antichi, ha riportato alla luce e ha permesso di localizzare nel territorio molti siti archeologici: Veregra, Ricina, Pollentia, Interamnia, Cluana, Colonia, Truentum, quattro anfiteatri, un porto, e due templi. Quando non gli bastava lo studio dei documenti antichi ricorreva, a sue spese, al Georadar che gli permetteva di leggere il terreno fino a cinque metri di profondità e trovare i resti di ciò che aveva trovato con lo studio. Difendeva con passione le sue scoperte ma non gli importava molto se era snobbato dalle autorità accademiche. Lo conoscevo si può dire da sempre. Lo ritrovai all’università, poi lo persi di vista quando mi trasferii in Brianza per lavoro. Nel settembre del 1996 ebbi il trasferimento dalla Scuola Media di Verano Brianza (MB) in quella di Civitanova Alta. Un mio amico, professore della stessa scuola, mi chiese di aiutarlo per costruire un audiovisivo sul chiostro, la chiesa e il convento di Sant’Agostino. Non avevo nessun testo che mi aiutasse nella ricerca. Telefonai a don Vincenzo che viveva allora a Porto Potenza Picena ed era parroco a Montecanepino. Era la settimana che precedeva il Natale. Mi accolse a braccia aperte, felice di rivedermi dopo tanto tempo. Gli esposi il mio problema. Mi diede tutti i testi scritti da Crocetti, studioso degli Agostiniani nelle Marche, il libro Memorie Sagre e Civili di Giuseppe Marangoni, più quello di Gaetani. Mi consigliò anche la lettura della tesi di Laurea di Falleroni, testo che trovai in biblioteca. Ritornai a casa. Lessi tutto quello mi aveva dato e in pochi mesi stesi tutti i testi per l’audiovisivo che presentammo assieme al prof. Dino Carlini nell’ambito di una mostra di fine anno.
Era generoso don Galiè, non era geloso del sapere, parola che deriva dal verbo latino sapio che significa dar sapore. Il sapere è come il sale, se non dà sapore, è solo vanità, vale meno di niente, è insipienza. In questo era molto diverso da chi, senza conoscermi, alla richiesta se poteva aiutarmi nella ricerca, mi aveva risposto se eravamo in grado di realizzare quello che avremmo dovuto fare. Quando non si conosce una persona, la prima cosa da fare è tacere e ascoltare. Lo diceva anche don Milani. Purtroppo, negli anni ottanta-novanta, quelli della maggiore produzione letteraria, storica e storiografica di don Vincenzo Galiè, io non abitavo a Civitanova Marche ma a Giussano e mi interessavo di altro. Ma fin dai primi anni, quando allacciai i rapporti con lui, acquistai e lessi molti suoi testi e articoli. Ho consultato più volte tre suoi libri che ritengo molto importanti per conoscere il nostro territorio: Insediamenti romani e medievali nei territori di Civitanova Marche e Sant’Elpidio, La città di Pausula e il suo territorio, Personaggi, insediamenti e istituzioni medievali nell’area di Monte San Giusto.
Nei primi anni del mio ritorno nella mia terra d’origine frequentavo a Civitanova Marche il locale Archeoclub di cui don Vincenzo era stato il primo presidente. Mi affacciai anche seppur timidamente a un gruppo di storici locali che amavano ritrovarsi in biblioteca per le loro ricerche. Era stato don Galiè a suggerirmelo. Restai per poco tempo. Non mi trovai per nulla a mio agio per una serie di motivi. Non persi però mai di vista don Vincenzo che rivedevo spesso qui a Civitanova in occasione di qualche sua conferenza, alla sala della Banca di Credito Cooperativo di Civitanova e Montecosaro, presso l’aula consiliare del comune, al Miramare sull’antica Cluana o su qualche altra sua ricerca. Leggevo anche tanti suoi articoli che pubblicava su una rivista di San Benedetto del Tronto e anche su La Voce delle Marche.
Il ricordo più bello che ho di don Vincenzo è legato a una visita d’istruzione che feci con l’Archeoclub di Civitanova Marche a Campofilone dove era parroco da appena tre anni dopo i circa trent’anni trascorsi a Montecanepino. Era il 14 aprile del 2002, una domenica. Partimmo in cinquanta con il pullman da Civitanova Marche e dopo aver visitato la villa Baruchello a Porto Sant’Elpidio, la rocca Tiepolo di Porto San Giorgio, arrivammo a Campofilone, l’antico campus follonis, podere, campo del lavandaio. L’infaticabile don Galiè, il nuovo abate dell’abbazia dedicata a San Bartolomeo, in appena tre anni aveva portato un vento di novità. Aveva allestito un ricco museo liturgico con pianete, piviali, ostensori, cibori, candelabri, carte gloria, ex voto. Ripulita l’antica cisterna d’epoca romana, che un tempo dava acqua ai monaci, attorno ad essa aveva sistemato pietre di epoca romana con le antiche iscrizioni. Accanto alla facciata della chiesa, di lato, in una stanza aveva collocato il museo malacologico ed entomologico con quello che gli era stato donato dalla professoressa Ciarrocchi. Don Galiè ci fece da guida per tutta la giornata e ci spiegò i tesori nascosti nel piccolo paesello e l’importanza dell’abbazia, conversazione che continuò allegramente al ristorante, dove mangiammo i famosi maccheroncini di Campofilone e altri manicaretti della casa. Le abbazie, nel periodo Alto Medievale, avevano il compito di garantire il passaggio degli eserciti del papa o dell’imperatore. Erano luoghi dove il pellegrino, stanco e affaticato, poteva riposare, trovare riparo e assistenza. La presenza a Campofilone di un’antica abbazia è attestata da un documento del 1066; essa era ricca di proprietà e aveva ovviamente una chiesa. In verità, un blocco di arenaria finemente lavorato, in stile bizantino, assicura l’esistenza di un edificio sacro già nel quinto o sesto secolo. L’abbazia inoltre nel 1199 riceve da Maria figlia di Rinaldo conte di Montefiore dodici libbre di monete lucchesi e nel 1292 l’abate versa al papa una ricca decima. Le belle pietre squadrate a colpi di martellina, visibili nella costruzione attuale e nella vecchia torre, assicurano che si sono riutilizzati i resti di una villa romana. Nella metà del XIX secolo, la vecchia chiesa medievale a due navate, una grande al centro e una laterale più piccola verso settentrione, non era più adatta alle esigenze del culto. Negli anni 1843- 1850 fu innalzata la chiesa attuale su disegno dell’ing. Filippo Roncalli. Perché potesse contenere un maggior numero di fedeli, fu aggiunta verso meridione una nuova navata, sottraendo spazio all’antico chiostro. È stata edificata a croce latina, coperta a volta con cupola centrale senza tamburo, con l’aggiunta del presbiterio absidale. La somiglianza col duomo di Fermo, fatte le debite proporzioni, è notevole. Dal febbraio 1898 al 24 agosto 1899 la chiesa fu decorata dai pittori Nicola Achilli e Luigi Fontana su commissione dell’abate Mancia-Salvini. È stato quest’ultimo che ha voluto anche il pavimento in cotto intersecato da fascioni in pietra bianca di Sirolo e fu lui ad acquistare i lampadari in cristallo di Boemia che pendono dal cornicione. Sono spiegazioni avute da don Vincenzo Galiè il giorno della visita a Campofilone di cui avevo dato notizia in un articolo pubblicato nel periodico “La Città Nuova” di Civitanova Marche (aprile 2002). Mi è parso giusto ripescarlo, sintetizzato, per quest’occasione. Ciao, don Vincenzo. •