2 aprile, giornata mondiale dell’autismo: un’amara riflessione
Niente di nuovo sotto il sole, ammonisce l’Ecclesiaste.
È forse la coda più disonorevole della giornata sull’autismo, il culmine dell’ipocrisia: si legifera senza copertura finanziaria, si inneggia a una coscientizzazione che non c’è tanto per lavare i panni sporchi in casa altrui e mondarsi la coscienza.
Il giorno dopo i lumini sono già spenti, nessuno pensa più a nessuno: è quel che si dice solidarietà, vessillo e vanto di un Paese che ha perso ogni direzione, assiologica ed estetica, ma prima di tutto “politica”, nel senso nobile del termine.
Chi non rispetta il prossimo nelle sue peculiarità e anche nella sua patologia – sempre che di patologia si possa parlare: dei due, chi è il più “malato”? dove è tracciata antropologicamente la linea di discrimine tra normale e diverso? – non è degno di essere chiamato uomo; soprattutto chi specula e chi irride a certi valori buttandoli come merce “tabaccosa” sulla bancarella dei vucumprà (e offendiamo questi poveri diavoli) in un gioco al rialzo (o al ribasso, a seconda che prevalga il toro o l’orso) dei gusti e della disponibilità delle tasche. Perché oggi si può negoziare anche il “prodotto” del dolore e della disperazione.
Una cosa da gridare vendetta al cospetto d’Iddio. Ma per le teste vuote basta parlarne soltanto perché si faccia “tana libera tutti” – ossia si decreti amnistia plenaria -, e ci si scrolli di dosso la fuliggine di un precipitato (peso etico) per poi, profumati di shampoo, girare la faccia e pensare alle proprie cure (al proprio stomaco, per non scadere in grana grossa). Allora, in barba a questo valzer di falsità borghesi e genetliaci melati, guardiamo in faccia una volta per tutte la realtà: dite che ve ne fregate, signori “per bene”, è meglio per voi, molluschi in tight: la lacrima “appiccata” di Pierrot non ha mai guarito nessun male, il medico “pietoso” fa soltanto danni.
Qui c’è di peggio: carità pelosa pietisticamente paludata e inneggiata, patetismo da quattro soldi.
Eccezion fatta per delle realtà che definire provvidenziali è poco (tra queste “L’Isola che non c’è”, da poco battezzata Pan – nuovo progetto per l’autismo, l’altra casa di mio figlio), Invece di sbandierare un buonismo che fa ridere i polli, “fa’ l’omo”, avrebbe detto puntando il dito mio nonno: nel senso meraviglioso e ormai perduto nelle secche dell’insignificanza di “martire”, testimone di verità. Razza di scribi e farisei, che “sanno” quel che fanno. •