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Accoglienza e santità

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Per tanti giovani non è facile capire il fidanzamento perché spesso non comprendono la stessa famiglia a cui è ordinato. Se non è chiara la méta a cui si tende non può neppure essere certo il cammino da compiere per raggiungerla.
Non capisce nulla dell’amore, oppure non ha mai conosciuto l’amore, chi rèlega la famiglia al rango di “cosa di altri tempi”, oggi obsoleta, inutile, superata e ammuffita… in omaggio all’idea ché l’uomo è fatto per essere “libero da ogni vincolo”, compreso quello familiare!
Nel dono reciproco di sé i fidanzati avvertono la profonda gioia del cuore e riconoscono la bellezza della vita, al punto da desiderare di essere, a loro volta, fonte di nuova vita nel figlio. Questo è l’ideale che i fidanzati portano nel cuore e stanno vivendo il tempo che li separa dalla grande promessa, come un cantiere nel quale ogni giorno pongono un nuovo mattone della futura casa.
La parola “virtù” indica l’impegno dell’uomo ad essere se stesso secondo i doni che ha ricevuto.
Prima virtù: accoglienza
Le parole che la Chiesa mette in bocca agli sposi nelle promesse nuziali sono: “Io … accolgo te … come mio/a sposo/a…”. È stata sostituita la parola “prendo” con “accolgo” perché esprime un concetto molto più ampio; infatti sottende l’atteggiamento di apertura a chi si dona, mentre la parola “prendo” esprime una iniziativa personale che necessariamente non coinvolge (e può addirittura essere contro) la volontà dell’altro. Anche la parola “sposo” viene dal verbo latino spondeo che significa “votarsi, dedicare se stesso a…”
Le parole del matrimonio significano che io accolgo colui che si è votato totalmente a me, donandomi se stesso; a mia volta anch’io mi affido a lui con le stesse parole.
Chi si sposa fa bene a riflettere sul cammino d’amore che lo ha portato a questo traguardo, perché esprime accoglienza e dono di sé colui che ha maturato una buona personalità, uno che è capace di stare in piedi sulle sue gambe. Sposarsi, sperando poi che sia l’altro a tenermi in piedi e a dare senso alla mia vita è assurdo.
Tante crisi di coppia nascono dal fatto che uno si aspetta dall’altro ciò che lui non può dare. L’accoglienza è una virtù che manifesta la verità dell’amore, supera la tentazione di fermarsi al fascino che l’altro emana per incontrarlo in ciò che egli realmente è, consapevole che anch’io sono chiamato a collaborare perché lui realizzi la sua vita. Chi si ferma a calcolare è evidente che non ama l’altro, ma se stesso. E se non ama, neppure l’accoglie. Si serve di lui, lo usa fin che va bene, perchè, prima o poi, finisce tutto, non serve più! Da qui allora una domanda importante: uno ama perché non può fare a meno dell’altro, oppure perché desidera che l’altro raggiunga il suo massimo bene?
Le promesse nuziali debbono essere radicate nel cuore così da impregnare del tutto ciò che uno è (uno “è” sposo, non “fa” lo sposo), perché la parola data sia vera sempre (=ogni giorno) e per sempre (=fino alla fine)! Il matrimonio è una continua accoglienza reciproca.
Seconda virtù: la fedeltà
Se si chiede “Quali sono le qualità che vorreste trovare nel vostro partner?”, emerge un lungo elenco: fedeltà, sincerità, forza di animo, complicità, tenerezza… È un elenco interessante, ma rivela molta attenzione agli aspetti umani, frutto della buona volontà e dei sentimenti.
La fedeltà è la prima delle qualità richieste perché ci sia l’amore, ma cosa si intende per fedeltà?
Nella maggior parte dei casi “fedeltà” è intesa come “non-tradire”. Una frase comune: “se scopro che mi tradisce non la voglio più”. Se questa fosse la vera interpretazione dovremmo concludere che l’infedeltà è la rottura della totale appartenenza di un coniuge all’altro. Avrebbero ragione quelli che frenano di fronte al matrimonio! Inoltre, nella sua accezione più immediata, si riduce l’amore al “non fare all’altro nulla di male”. Quasi una sorta di reciproco (e freddo) rispetto, che sottolinea di più la lontananza che non una vera condivisione.
Potremmo anche pensare che questa sia la concezione di chi vede come massimo valore dell’amore il rispetto. A chi è amato non basta sentirsi rispettato, esige molto di più; chiede un legame che sia unico, personale, irripetibile e capace di portare alla piena unità di vita.
Non si può capire da soli la verità circa la virtù della fedeltà, perché appartiene al mistero stesso dell’amore e l’amore è Dio. Solo guardando a Lui possiamo capire questa virtù. Infatti la concezione di fedeltà più vera è quella di un amore che non ha nessun limite o confine perché è dono totale di sé all’altro e per sempre. Ma l’uomo da solo non ha e non può darsi la misura dell’amore e quindi della fedeltà. La riceve dal grande Maestro dell’amore che è il “Dio fedele” e lo segue, diventando, a sua volta, capace di amare l’altro come lo ama Dio. Per questo il vertice dell’amore è la fedeltà e la fedeltà è l’espressione più vera dell’amore! Amore e fedeltà si appartengono totalmente! Da Lui i fidanzati imparano un amore che non ha ombre. Non si giunge senza fatica a questo traguardo, che è dono e conquista. Infatti, mano a mano che crescono nell’amore e nella conoscenza reciproca diventano pure sempre più vicini a Dio.
Terza virtù: la santità
La scrittura chiama “santi” coloro che sono rinati nel battesimo perché sono diventati “figli di Dio” che è il “Santo”. Ciò che è dono di Dio non è opera nostra; Dio chiede all’uomo di non restare passivo e inerte, ma di collaborare, mettendo a frutto i talenti (doni) ricevuti (Mt. 25), realizzando il progetto pensato per lui dall’eternità.
La santità consiste essenzialmente nell’agire secondo Dio; è la missione che l’uomo riceve da Dio. Perciò non si tratta di moltiplicare le preghiere, ma di operare secondo Dio. La via dell’amore è una via di santità. E questo è vero sia nell’amore di carità “tutto quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt. 25,40), sia nell’amore coniugale. È nell’uomo e nella donna uniti nell’amore che Dio ha posto una immagine fedele di sé.
Come possono allora due fidanzati rendere il loro amore un cammino di santità? Certamente salvaguardando i due aspetti: quello del rapporto con Dio e quello di aprirsi ogni giorno più ad un amore secondo verità. La capacità di pregare e di pregare insieme è per due fidanzati la più bella espressione del loro amore. Con la preghiera mettono in comune ciò che hanno di più sacro: il loro mondo interiore e riconoscono l’importanza della presenza di Dio in loro. Anche l’amore “secondo verità” corrisponde ad un cammino di santità: la parola “verità” non è da intendere come mancanza di falsità (=non dire bugie!), ma come espressione di “bene”! La verità è il bene! Gesù si definisce: “Via verità e vita”. Perciò l’amore che porta alla santità è un amore che si realizza nel segno del bene (ti voglio “bene”), sia proprio che dell’altro.
La santità è il vertice della virtù perché esprime l’impegno dell’uomo chiamato a rispondere al suo Dio e nello stesso tempo manifesta la grazia dello Spirito che realizza nell’uomo ciò per cui è stato creato. È l’amore santo che unisce in una sola vita l’uomo, la donna e Dio, premessa della loro definitiva comunione nel regno eterno. •

Vittorio Fortini

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