L’abbonamento è un atto di fede: non si discute
Per andare in pellegrinaggio verso il suo santuario si è disposti a fare ore e ore di viaggio in pullman, a versare sangue facendo a pugni per la sua causa, a cantare a squarciagola, a perdere una giornata di lavoro o di scuola, a pagare quote di iscrizione e a fare sottoscrizioni, a indossare la stola o la mitria rossonere.
La notte di Pasqua di quest’anno coincise con la super sfida dello Stadium di Torino tra Juventus e Milan. Un ministro del culto cattolico, prima di recarsi a presiedere la celebrazione più importante dell’intero anno liturgico, cedette alla tentazione di passare prima dalle parti del club dei tifosi di cui era socio, per assistere almeno al primo tempo della partita. La sua squadra del cuore, dopo l’iniziale svantaggio, riuscì momentaneamente a pareggiare con un goal del capitano e questo portò il santo curato a fare un urlo tanto forte da perdere la voce, compromettendo lo svolgimento della celebrazione successiva. Insomma, l’esultanza per l’idolo della curva era stata superiore al grido di vittoria della vita sulla morte che in quella notte andava risuonando in tutto l’universo cattolico. La vera Pasqua, per quel prete, era già stata consumata al club, a guisa di vera e propria idolatria. In chiesa, anziché ascoltare la narrazione della storia della salvezza, era assalito dal pensiero di come potesse essere andata a finire la partita. La fortissima delusione per l’amara sconfitta lo portò alla considerazione della vacuità delle cose di questo mondo e della sua fede sportiva, ma anche di quella religiosa. •