È sciocco negare che c’è un giornalismo dimezzato, che ignora i riferimenti etici che si è dato da sé stesso. Non si deve rinunciare alla critica e alla richiesta di fedeltà al compito che è la ragion d’essere di una professione ma occorre anche chiarire che gli autori delle fake news non sono giornalisti, sono fabbricanti e distributori di menzogne.
È allora interessante che Laurene Powell Jobs, una donna che vive immersa nel mondo digitale, raccomandi ai giovani di coltivare con passione il pensiero critico e siano loro a discernere tra il bene e il male e non siano altri a sostituirli in questo esercizio.
Il risveglio della coscienza non è un tema caro agli autori delle fake news, a loro non interessa il pensiero, non interessa l’etica, non interessa la dignità della persona, non interessa la ricerca della verità. Interessa il nulla dello scontro, del rancore, del disprezzo.
Contro l’uso della menzogna il giornalismo gioca, dunque, una battaglia decisiva per la propria dignità, per la propria credibilità, per la propria missione: è un esercizio di professionalità, non è il sogno di anime belle.
L’antica battaglia tra la verità e la menzogna non coinvolge solo i media: la lotta diverrebbe impari senza il coinvolgimento della coscienza della persona e della società.
L’allarme suona da tempo, gridare indistintamente contro giornalismo e fake news è il segno di una fuga dalla responsabilità. È cercare un colpevole senza guardarsi dentro. Che sia Laurene Powell Jobs a ricordarlo non solo con le parole ma con l’impegno per la formazione scolastica ai media e con i media è un messaggio che incoraggia. Reagire alla menzogna smascherandola e denunciandola è possibile con la forza del pensiero, con la passione per il bene e per il vero. •
Paolo Bustaffa