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Chiamati, in cammino

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Anche oggi il Signore chiama “alcuni a stargli vicino”.

L’Angelus, nel tempo del Covid-19, è un Papa “ingabbiato” nella sala della Biblioteca, il luogo degli incontri con capi di stato e di governo, che arriva in piazza San Pietro attraverso i maxi schermi. Ma per Francesco questo auto isolamento è troppo, e non rinuncia ad affacciarsi, dopo la benedizione, per salutare le persone presenti. In primo luogo, quanti con uno striscione ricordano il dramma che si sta vivendo in Siria: “i dimenticati di Iblid”, si legge. Pregherà, poi nel dopo Angelus, per le donne, uomini e bambini che lì rischiano la vita: “non si deve distogliere lo sguardo di fronte a questa crisi umanitaria, ma darle priorità rispetto ad ogni altro interesse”.
L’Angelus nel tempo del coronavirus – una preghiera “un po’ strana”, dice Francesco dalla biblioteca – è anche preghiera per tutti coloro che moltiplicano i loro sforzi per combattere questo virus. Quaresima, tempo di conversione, cammino verso la luce della Pasqua; cammino segnato dalle difficoltà umane, ma anche dalla prospettiva che il venerdì della passione culmina nella domenica della resurrezione.
In questa domenica di Quaresima il tema delle letture è la chiamata: Dio chiama un nomade, Abramo, e gli chiede di lasciare tutto per iniziare un cammino verso una terra che il Signore stesso gli indicherà. Dio chiama Mosè sul monte per consegnargli le Tavole della Legge; e su un monte, il Nebo, si ferma e guarda la terra promessa senza poterla raggiungere. Su un monte Davide costruisce la città di Gerusalemme. La montagna è il luogo dell’incontro con il Signore, così Pietro, Giacomo e Giovanni – i tre saranno testimoni delle sofferenze di Cristo nel Getsemani – sono chiamati da Gesù su un monte, il Tabor, per assistere alla trasfigurazione, “per aprirli ad una comprensione più piena del mistero della sua persona, che dovrà soffrire, morire e poi risorgere”, dice il Papa. Il monte è luogo privilegiato di una vicinanza fatta di ascolto, di incontro, di preghiera.
Giunto sul monte, Gesù – che “aveva iniziato a parlare loro delle sofferenze, della morte e della risurrezione che lo attendevano” – si immerge nella preghiera e si trasfigura davanti ai tre: “il suo volto – scrive Matteo – brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”. Assieme a Gesù trasfigurato, ai tre appaiono Mosè e Elia, cioè la legge e i profeti, come dire tutto l’Antico Testamento: antico e nuovo che si fondano e che ci aiutano a capire il mistero di Gesù.
Attraverso l’evento della Trasfigurazione, per Francesco, “i tre discepoli sono chiamati a riconoscere in Gesù il figlio di Dio splendente di gloria. Essi avanzano così nella conoscenza del loro Maestro, rendendosi conto che l’aspetto umano non esprime tutta la sua realtà; ai loro occhi è rivelata la dimensione ultraterrena e divina di Gesù”.
Una nube luminosa li copre e una voce risuona: “questi è il figlio mio, l’amato. In lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”, come leggiamo nel Vangelo. “È il Padre celeste che conferma l’’investitura’ – chiamiamola così – di Gesù già fatta nel giorno del battesimo al Giordano e invita i discepoli ad ascoltarlo e seguirlo”, afferma il Papa. Perché Gesù sceglie i tre, perché sono i più santi, si chiede Francesco: “no. Eppure, Pietro, nell’ora della prova, lo rinnegherà; e i due fratelli Giacomo e Giovanni chiederanno di avere i primi posti nel suo regno. Gesù però non sceglie secondo i nostri criteri, ma secondo il suo disegno di amore. L’amore di Gesù non ha misura: è amore, e lui sceglie con quel disegno di amore”. Si tratta di una scelta “gratuita”, “un’amicizia divina che non chiede nulla in cambio”. Anche oggi il Signore chiama “alcuni a stargli vicino”; essere testimoni “è un dono che non abbiamo meritato”, dice Francesco: “ci sentiamo inadeguati, ma non possiamo tirarci indietro con la scusa della nostra incapacità”. Non siamo stati sul monte Tabor, ma ci “è stata consegnata la Parola di salvezza”, “donata la fede, e abbiamo sperimentato la gioia dell’incontro con Gesù”. In questo mondo, “segnato dall’egoismo e dall’avidità”, afferma il Papa, “la luce di Dio è offuscata dalle preoccupazioni del quotidiano”. Il battesimo “ci ha fatto testimoni, non per nostra capacità, ma per il dono dello Spirito”. •

Fabio Zavattaro

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