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Il buon giornalismo che non spettacolarizza le notizie sulla Pandemia

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Quale auspicio può esprimere un giornalista sotto l’albero di Natale? Mai come stavolta il desiderio è di non contribuire ad alimentare la paura, ma per riuscirci ci vuole davvero un grande sforzo e, per chi crede, l’aggiunta di una forte preghiera. Per buona parte del 2020 i servizi televisivi, le pagine dei giornali e i lanci dei siti online sono stati quasi monotematici: ha dominato il Covid-19. Numeri di contagiati, ricoverati e deceduti; storie di isolamento in casa, negli ospedali e, per chi non ce l’ha fatta, anche in punto di morte; elenchi di fabbriche, negozi e botteghe vicine alla chiusura definitiva; casi di giovani meno seguiti sul piano scolastico, nonostante i mezzi di contatto apparentemente più comodi, e sempre più fragili dal punto di vista emotivo e caratteriale; bollettini di Rsa e case di riposo diventate facile e drammatico bersaglio del Coronavirus. Poche le eccezioni – quasi sempre ugualmente negative (morte di calciatori, attori e personaggi famosi; alluvioni) – che hanno per qualche giorno sottratto le aperture dei telegiornali e i titoli più grandi delle prime pagine dei giornali al nemico numero uno di tutti, il Covid-19.
Fino a una decina di mesi fa in tanti si lamentavano perché i mezzi di comunicazione erano troppo attenti alla cronaca nera – l’unica capace comunque di far impennare l’audience e le vendite – ma per un giornalista quel genere di notizie oggi non provoca più i maggiori imbarazzi o rimorsi di coscienza.
La preoccupazione che davvero perseguita qualsiasi cronista, dalla mattina alla sera, è infatti diventata il pericolo di aumentare la paura del virus nelle persone. “Allarme seconda ondata”, “ospedali al collasso”, “contagi inarrestabili”, “impennata dei morti”, “assembramenti irresponsabili”, “economia in ginocchio” sono stati per giorni i termini più usati nei servizi televisivi e negli articoli dei giornali, ma ogni volta i giornalisti hanno cercato di non eccedere e non focalizzare l’attenzione oltre il dovuto e necessario, di fare informazione e non spettacolarizzazione. Il telespettatore e il lettore possono non rendersene conto, ma questa ‘ansia da cronaca’ sta martellando la testa dei giornalisti, che mai come in questo periodo vorrebbero proporre buone notizie e si sforzano più di sempre per andare a cercarle.
Basta guardare la commozione che accomuna intervistato e intervistatore quando si raccontano storie di chi è guarito dal Covid-19, di chi si sacrifica in prima linea per sconfiggerlo e di chi volontariamente e disinteressatamente aiuta le persone finite in difficoltà.
Tutti, dopo la Pasqua vissuta in isolamento famigliare, aspettavamo Natale per poter finalmente tornare alla normalità. Invece, i tempi si sono allungati e il virus è ancora in agguato, costringendoci a passare in casa anche queste festività. Non ne possiamo più e tutti ci auguriamo che sia l’ultimo sacrificio, per questo anche i giornalisti davanti all’albero, la sera della vigilia, esprimeranno il desiderio di raccontare al più presto la fine di questa brutta storia della pandemia. •

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