La compassione di Dio

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Gesù si è avvicinato al lebbroso, ha avuto compassione e tenerezza. Vicinanza, compassione e tenerezza, sono le tre parole che per il Papa “indicano lo stile di Dio”.

Dopo l’indemoniato nella Sinagoga di Cafarnao, dopo la suocera di Simone, Marco, nel suo Vangelo, ci descrive una nuova guarigione, e ci mostra il clima nuovo che nasceva al suo passaggio: “venne a Gesù un lebbroso”. Davvero strano che un lebbroso osasse avvicinarsi a Gesù, superando un abissale distanza garantita dalla legge: il libro del Levitico lo dichiarava impuro, ne descriveva gli abiti che doveva indossare e lo obbligava a dichiararsi impuro; solo un sacerdote poteva liberarlo da questa condizione. Ma per Gesù niente è così grave e terribile da allontanare qualcuno definitivamente da Dio. E la richiesta del lebbroso – “se vuoi, puoi purificarmi” – è più di una semplice guarigione corporale; egli vuole essere reintegrato nella vita sociale e religiosa. Bisogna anche ricordare che il termine lebbra – il morbo di Hansen fu scoperto solo nel 1871 – nella Bibbia aveva un’accezione più ampia, indicando tutta una serie di mali della pelle, marchio visibile di una colpa commessa, dunque castigo di Dio a seguito di un peccato commesso.
Ma da chi poteva andare questo malato se non da Gesù, che mangia con i pubblicani, con i peccatori; che non ha paura del contagio, perché niente per lui è impuro, e lo vince con la vicinanza, con il suo stendere la mano per far alzare il malato. La lebbra, per l’antica legge ebraica, era considerata non solo malattia ma la più grave forma di impurità.
Nella lebbra, ricordava Benedetto nel 2009, si può intravvedere un simbolo del peccato “che è la vera impurità del cuore, capace di allontanarci da Dio”. Non è la malattia fisica della lebbra “a separarci da lui, ma la colpa, il male spirituale e morale”.
Gesù, dunque, si lascia avvicinare, si commuove e “stese la mano e lo toccò”: impensabile gesto. Ma così, dice il Papa all’Angelus “realizza la Buona Notizia che annuncia: Dio si è fatto vicino alla nostra vita, ha compassione per le sorti dell’umanità ferita e viene ad abbattere ogni barriera che ci impedisce di vivere la relazione con lui, con gli altri e con noi stessi”. Gesù si è avvicinato al lebbroso, ha avuto compassione e tenerezza. Vicinanza, compassione e tenerezza, sono le tre parole che per il Papa “indicano lo stile di Dio”.
Nel racconto di Marco leggiamo inoltre due trasgressioni, afferma il vescovo di Roma. La prima è quella del lebbroso: “nonostante le prescrizioni della Legge, egli esce dall’isolamento e viene da Gesù” e in lui “può vedere un altro volto di Dio: non il Dio che castiga, ma il Padre della compassione e dell’amore, che ci libera dal peccato e mai ci esclude dalla sua misericordia”. Qui Francesco ha un pensiero per i tanti confessori “che non sono con la frusta in mano, ma soltanto per ricevere, ascoltare, e dire che Dio è buono e che Dio perdona sempre, che Dio non si stanca di perdonare”.
Il secondo trasgressore, per il Papa, è Gesù stesso che non rispetta la legge: “è vero, è un trasgressore. Non si limita alle parole, ma lo tocca. E toccare con amore significa stabilire una relazione, entrare in comunione, coinvolgersi nella vita dell’altro fino a condividerne anche le ferite”. Gesù mostra che Dio “non è indifferente”, non si tiene a “distanza di sicurezza”; ha compassione “si avvicina e tocca la nostra vita per risanarla con tenerezza”.
Anche oggi ci sono persone che soffrono per questa malattia o per condizioni “cui è associato un pregiudizio sociale”, dice il Papa all’Angelus, nel quale fa gli auguri ai fidanzati per San Valentino e dice: “che bella la piazza con il sole”. Anche a noi “può capitare di sperimentare ferite, fallimenti, sofferenze, egoismi che ci chiudono a Dio e agli altri. Perché il peccato ci chiude in noi stessi.
Dinanzi a tutto questo, Gesù ci annuncia che Dio non è un’idea o una dottrina astratta, ma Colui che si ‘contamina’ con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe”. Per rispettare “le regole della buona reputazione e delle consuetudini sociali”, noi, invece, spesso “mettiamo a tacere il dolore o indossiamo delle maschere che lo camuffano”, per i nostri egoismi o le nostre paure, e “non ci coinvolgiamo troppo nelle sofferenze degli altri”. Francesco ci chiede di vivere le trasgressioni del lebbroso e di Gesù, il cui amore “fa andare oltre le convenzioni, fa superare i pregiudizi e la paura di mescolarci con la vita dell’altro”. •

Fabio Zavattaro

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