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Vincere lo sgretolamento

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adolfo leoniDi questi tempi, in Puglia circola un detto. Me lo ha riportato un amico al termine di un convegno al teatro Alaleona di Montegiorgio. Recita: «Eravamo legno. Ora siamo segatura». Prima: solidità; oggi: polvere. Ci troviamo oltre Bauman e la sua (e nostra) società liquida. Lo dimostra efficacemente un libro tremendamente bello e veritiero quale “Mover. Odissea contemporanea” di Michele Silenzi (è stato già recensito su La Voce delle Marche, numero 15). In questi mesi, leggo e rileggo un brano di “Barbarico” (ne abbiamo parlato qui) di Giovanni Lindo Ferretti. «Se posso permettermi di ridurre ad una parola questo nostro tempo – scrive l’ex cantante dei CCCP – scelgo: sgretolamento.

Sociale, politico, individuale, tutto ciò che è legame ne è intaccato; ogni parola pubblica non fa che contribuire a tale processo e quella che pretende di farsi argine lo accelera rendendolo ancor più rovinoso». Sgretolamento, frantumazione. Divisione in greco è “diaballo”: diavolo. Molto e visivamente attivo in questi tempi. Accidenti se opera! A volte scheggiando violentemente, a volte usando parole soavi, umanitariamente seducenti. Quanta verità in Robert Benson che scrisse Il Padrone del Mondo. Erano gli inizi del Novecento. Si frantuma la famiglia, si frantumano le amicizie, si frantumano i partiti, i sindacati, le nazioni e la nostra nazione (così come prima si frantumarono gli Imperi). È una polverizzazione, appunto, in sempre maggiore accelerazione.

Una “cagnara” continua che finisce in rissa, dal Parlamento al bar, passando per gli stadi con coltellate annesse. La coesione è deflagrata. Il popolo non c’è più. Ci sono atomi e cellule impazzite. Ai tempi di “don Camillo e Peppone”, c’era divisione politica, ma l’humus (la terra, l’origine) era fatto di valori profondi, magari inconsci, ma condivisi. «Noi – ha scritto il filosofo Massimo Borghesi – non abbiamo più un mondo che desidera, ma un mondo di bisogni perennemente inappagato, perennemente frustrato. Per desiderare occorre un positivo, una speranza di cambiamento. In giro se ne vede poca». L’irreligione della società opulenta ha smagliato ogni ambiente. Ha reso la persona individuo, caldamente invitato e saldamente indirizzato a trasformarsi nell’unica figura consentita: quella del produttore/consumatore. Il nuovo potere finanziario, svincolato dal lavoro reale, muove pedine mondiale sottomettendo a sé “Stati, popoli, incurante del benessere di milioni di persone”. Se occorre una guerra per il petrolio, la si scatena, se ne occorre una per gli oleodotti la si procura…

Anche l’arte è stata compromessa. Il critico Steiner diceva che la cosa peggiore per l’arte, le epoche peggiori sono quelle dello scetticismo. Lo scettico è uno che guarda le cose da lontano come se tutto fosse già accaduto, come se nulla potesse superare il momento attuale, non aspettiamo più niente. Nel suo ultimo libro L’inverno della cultura, lo storico dell’arte Jean Clair esprime la tesi per cui l’Occidente è protagonista di una discesa agli inferi, dove il degrado delle arti figurative è l’esempio più eclatante. L’arte nata in funzione del culto, è diventata narcisismo (fatto culturale) e successivamente attività culturale ostaggio delle logiche di mercato. Individualismo e business. Ma prima di ogni altra cosa, il dramma è la scissione in noi stessi, il dualismo che viviamo.

«E ora – si chiedeva Giorgio Gaber nella sua profetica canzone Qualcuno era comunista – anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo». Cosa può salvarci? Mi ripeto in continuazione che quando Roma cadde e una civiltà crollò, San Benedetto propose nuove forme di vita, aprì il monastero al goto e all’alemanno, all’erulo e al romano. Mise insieme gente intorno al Vangelo e ad una regola. E tutto rifiorì. I tempi sono cambiati, le modalità no. Diceva nel 1983 il valoroso teologo ortodosso francese Olivier Clement: dobbiamo costruire luoghi di accoglienza e di resistenza! Dategli torto. Ma dobbiamo anche cogliere germi di ricomposizione.

C’erano due seminaristi africani, ora diventati preti, in Seminario a Fermo. Uno era Utu, l’altro Tutsi. Le due etnie si erano scannate. Loro due si volevano bene e si salvarono insieme. Esempio grande. Ce ne sono di minori ma significativi di una necessità di riaggregazione. Monte San Giusto celebra ogni anno Patch Adams, il medico statunitense che curava prima di tutto l’animo e la mente usando il sorriso. Ogni anno un pienone. Quest’anno anche di più. Perché? Solo per ridere di gusto, solo per avvicinare Panariello o Iachetti? Oppurre la Comunità distrutta dall’individualismo riemerge come necessità di stare insieme e di fare Festa (con la lettera grande)?

Domenica 21 settembre gli amici dell’Associazione Antichi Sentieri – Nuovi Cammini hanno risalito la Gola dell’Infernaccio per raggiungere l’eremo di padre Pietro. La spianata era sporca: bottiglie, vetri, ferri vecchi. Senza pretesa alcuna, hanno riempito otto sacchi grandi di immondizie portandoli poi a valle. Una trentina, ritrovatisi per l’occasione, con la “contaminazione” di tanti altri presenti. L’amicizia e l’unità fanno piccoli miracoli.

C’è una frase ancora di Giorgio Gaber. In una canzone dice che l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Unica modalità per realizzare il “comune bene”. Nelle settimane scorsa, le grandi Cisterne romane di Fermo hanno ospitato Resorgentia, iniziativa commercial-culturale. In esposizione, una copia mignon degli affreschi del Palazzo Pubblico di Siena: il Buongoverno e il Malgoverno nei dipinti di Ambrogio Lorenzetti. Quegli affreschi comunicano molto più di tanti trattati filosofici. Quando il Buongoverno? Quando la Sapienza lascia correre il suo filo verso la Giustizia ed essa lo stende alla Concordia che appiana con la pialla in mano, da dove poi diparte una corda che 24 persone del popolo (c’è anche Dante) tirano sino al Comune Bene. E dove il Comune Bene è ispirato dalla Fede, Speranza e Carità. E dove l’interesse personale è posposto a quello della comunità. Ma tutto ciò che non potrebbe accadere senza un’origine, senza un’alfa e un’omega. Un punto Uno.

Tra poco è Natale, memoria che Dio s’è fatto uomo come noi, partorito da ventre umano, la Madonna ebbe le doglie come ogni altra donna. Cristo entra nella storia, cammina la stessa terra nostra. Facendosi compagnia a tutti gli uomini. Facendosi via e senso della nostra esistenza. •

Adolfo Leoni

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