“Questo piccolo volume – si legge nella premessa – vuol essere un contributo al rinnovamento degli itinerari formativi, seppure con un grande limite: è solo dettato, infatti, dall’esperienza di un presbitero-parroco, rettore di Seminario e vescovo che per un disegno misterioso si è misurato con le sfide della formazione nel tempo della ricezione del Concilio Vativano II, anche per aver partecipato all’VIII Assemblea del Sinodo dei Vescovi su La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali”.
La vita dei presbiteri per mons. Conti ha tre nodi da sciogliere. Li individua in tre icone bibliche.
La prima è quella di Giona (cap.4) che fa resistenza alla chiamata di Dio di recarsi a Ninive. Per il Vescovo di Fermo, Giona assomiglia a chi oggi “fa un po’ di resistenza di fronte alla spinta di Papa Francesco di essere Chiesa a partire dalla periferie”. “Per Dio – nota mons. Conti – è più facile indurre a conversione l’intera città di Ninive piuttosto che il suo profeta”. “Abbiamo cercato di convertire gli altri, ma non ci siamo sufficientemente preoccupati di convertire noi stessi”.
La seconda immagine è Caino (Gen 4) nel momento in cui Dio gli chiede: “Dov’è Abele tuo fratello?”. La sua risposta: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”. Scrive il Vescovo: “Questa parola interroga ogni vescovo e ogni presbitero sulla qualità delle relazioni all’interno del presbiterio. Se ad ogni presbitero il Signore Gesù domandasse: “Dov’è, come sta il tuo confratello presbitero?”, temo che in molti ci troveremmo a rispondere: “Non lo so. Sono forse io il custode? A mala pena riesco a pensare alla mia vita, al mio ministero… Non riesco a far fronte agli impegni legati alla parrocchia in cui mi trovo, alle richieste delle persone… Posso pure prendermi cura di un altro presbitero o degli altri presbiteri? E poi, quando avevo bisogno, lui non mi ha aiutato… quando gli ho proposto di realizzare insieme una iniziativa, si è rifiutato… so che non pensa bene e non parla bene di me… è impossibile andare d’accordo con lui”. Mons. Conti si chiede: Quante volte invece di impegnarci in una critica costruttiva che è custodia del fratello, ci lasciamo andare alla polemica fine a se stessa? Dove possiamo arrivare senza un presbiterio? Quale diocesanità senza un presbiterio unito?
La terza scena biblica è presa dal dialogo tra Dio e Adamo: “Dove sei?”, “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3). “Quanti presbiteri – si chiede l’Arcivescovo di Fermo – si nascondono davanti a Dio, ai confratelli e ai fratelli e sorelle laici perché hanno paura di affrontare la propria nudità, hanno paura di mostrarsi nella propria fragilità. Ci sono presbiteri che sistematicamente evitano ogni momento diocesano con il proprio presbiterio, che si eclissano in una sorta di inaccessibilità. Spesso l’esercizio del ministero, forme diverse di attivismo, diventano i luoghi in cui si nasconde l’uomo di fronte a chi lo cerca”.
Queste domande spingono mons. Luigi Conti a trovare una sorta di filo di Arianna per uscire fuori da questo momento di crisi: ribadire l’importanza dell’appartenenza ad un presbiterio e l’avvio di processi di riforma. Da qui parte la riflessioni nei 4 capitoli:
Il primo capitolo: Il “grembo delle vocazioni: Chiesa comunità eucaristica
Secondo capitolo: Dal catecumenato al teologato
Terzo capitolo: Un’esistenza eucaristica.
Quarto capitolo: Nella Chiesa e con la Chiesa: una “pastorale presbiterale”.
“Ecclesia semper reformanda”. •
INTRODUZIONE
L’autore confida che il libro è nato su insistenza di S. E. Mons. Enrico dal Covolo
Questo libro racconta una sorta di rilettura deuteronomica del mio ministero, quasi una conversazione spirituale sul tema della formazione. Questo per altro è un tema ricorrente nelle Note o lettere pastorali inviate alle Chiese di Macerata e di Fermo in questi ultimi 20 anni. Vede la luce per la gradevole insistenza di S. E. Mons. Enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, con il quale più di 20 anni or sono si dialogava di formazione quando ero Rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore. Pur avendo speso gran parte del mio ministero nell’orizzonte della formazione o, forse proprio per questo, finora non ho avuto l’ardire di dare nulla alle stampe.
Mi ha sempre trattenuto il mistero dell’incontro tra grazia e libertà. La grazia, come afferma Pastores dabo vobis (n. 36) «anima e sostiene la libertà umana e… se non si può attentare all’iniziativa gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all’estrema serietà con la quale l’uomo è sfidato nella sua libertà». Questo mistero continua a interpellarmi davanti all’esistenza presbiterale dei miei antichi e nuovi “alunni” di cui osservo attentamente il cammino e che accompagno con la Parola e la preghiera. Ora, giunto con gioia all’ultimo tratto del ministero episcopale, ho accettato di dedicarmi ad una sorta di “narrazione” facendo memoria – in un rinnovato discernimento – di quanto lo Spirito ha operato in me e in coloro che mi sono stati affidati per la formazione.
Voglio rassicurare il Lettore: ho cercato in ogni modo di non fare resistenza allo Spirito. Lo esorto, tuttavia, a “esaminare ogni cosa e tenere (solo) ciò che è buono”.
Ringrazio, infine, per il grande aiuto in ordine alla condivisione nella stesura del testo don Giordano Trapasso, presbitero fermano, Vice-Preside dell’Istituto Teologico Marchigiano e Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ss. Alessandro e Filippo” di Fermo, nonché don Robert Szymon Grzechnik, della mia Segreteria. •
+ Luigi Conti