Sandro: una grande anima

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“…venite con me, in disparte” 

(dal Vangelo di Marco)

Ci sono esistenze che non le puoi cambiare, vite votate all’altro per vocazione nativa, che non possono fare a meno di tendere la mano al prossimo, a chi la società ritiene, in nome della cultura dello scarto, un ingombro, a chi viene buttato a mare perché non è capace di provvedere ai più elementari bisogni. Intorno a queste benemerite anime si costruiscono delle vere e proprie isole, oasi in cui vige il rispetto e soprattutto la sacralità della persona, quali che ne siano i connotati e le caratteristiche. Oasi incastonate nel verde che seguono vite ai margini della società, relegate all’indifferenza perché non omogenee al diktat dell’efficientismo, oasi di pace e di lavoro che si prendono cura di chi è stato penalizzato nella vita – o forse, chissà?…se si pensa al livello di barbarie in cui siamo precipitati… Su questo miserrimo scenario si accampa “l’isolachenoncè”, il cui araldo è Sandro – non faccio il cognome conoscendo il pudore e l’umiltà di questa persona, che tutto vuole meno che di mettersi in mostra sotto i riflettori -, nocchiero di un drappello di ragazzi/educatori di buona volontà e ineccepibile formazione tecnica, che si muovono silenziosi e solerti “nei giardini che nessuna sa”, ma che qui hanno un nome, “Villa Murri”. Alle spalle un proscenio vociante e muto su cui si dimena velleitaria quanto inutile una pletora di imbecilli che va dietro alle effimere mode del momento.

Il fare di questo Don Bosco declinato in chiave “laica” è pragmatico, dedito com’è anima e corpo a risolvere problemi su problemi, qui e ora, costi quel che costi, anche in termini di denaro: ché non ci sono costi di fronte a una esistenza che va salvaguardata, preservata con gli occhi e con cognizione di causa da una irrimediabile disfatta. Sandro lo fa così, semplicemente, perché la sua natura ve lo spinge appassionatamente e gratuitamente. In osservanza a un suo credo. I suoi meriti, di là dalla facile tentazione retorica che fa sempre capolino in argomenti del genere: pane al pane e vino al vino! -, i suoi ‘allori’ sono molto più “alti” di chi quotidianamente si batte il petto davanti al Crocifisso per poi tornare a “peccare”, forte della garanzia dell’assoluzione plenaria dopo una risciacquata di panni in Arno. Se anche non fisicamente, tu in chiesa ci “vai” tutti i giorni a servire quel Cristo sofferente lacerato disprezzato dagli uomini molto più dei tanti baciapile che pensano che il Paradiso si conquisti obliterando via via il ticket nel varcare il sagrato. Questo è Vangelo, quello che tu applichi, caro il mio mentore. Il Vangelo che si lorda le mani di sangue e di fango, il Vangelo degli ultimi, il Vangelo dello scarto che da stoltezza della croce si fa testata d’angolo. Io ti conosco, ho parlato a fondo con te e tu hai accolto mio figlio. Di certo, in una società dirigista, che per fini egemonici protervi e assassini ha di mira la piatta omologazione degli individui a uno standard di bassissimo profilo – per poi consegnarli a un mondo che la pur fervida fantasia di un Fritz Lang non potrebbe nemmeno lontanamente concepire – si starà già pensando a rierigere la rupe Tarpea.
Il diverso dà fastidio, costa troppo a una società alienata e malata di pecunia e vuota di senso e ideali, che vuole sempre più l’autodistruzione. I nostri figli, diademi splendenti senza valore che possa stimarsi, che si portano nelle carni e nell’anima impresso a fuoco lo stigma del minus. Nel segno di un concetto di normalità che non solo include, ma valorizza come “varianti dell’essere uomo” le singolarità, tu, uomo di carità, hai coltivato -e continui indefesso a farlo!- tanti “stralunati” inquilini di un pianeta inospitale, amandoli hai sofferto per entrare dentro il loro mondo, alla fine forse ci sei riuscito, forte della competenza di angeli di serie A. Tu hai “adottato” il fiore dei miei anni, il tuo grande merito è che ti “ostini” ad amarlo così com’è, e con lo stesso ardore e tenacia tutti gli altri ospiti di questo sogno che è realtà. Grazie, non mi stancherò mai di dirlo, a te e al “Capitano”, che guarda misericorde quest’orbe. Un grazie sommesso, senza echi di grancasse e proclami pomposi. Perché “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”. •

studiolegale.fedeli@gmail.com

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