Il gran cuore degli uomini senza volto nel sisma del 24 agosto.
C’è un popolo discreto, generoso e silenzioso che nei giorni del terremoto ha mosso gli ingranaggi della macchina della solidarietà senza cercare il clamore della ribalta nazionale o locale. Centinaia, migliaia di persone che nelle 3 regioni colpite, come in tutta Italia non sono apparse sui giornali, non hanno condiviso foto sui social ad ogni loro atto di generosità e non si sono vantate di ogni loro piccolo o grande gesto.
“Il bene si fa in silenzio tutto il resto è palcoscenico” dice una frase che rimbalzava attraverso la rete tra quanti stanchi di assistere alle autocelebrazioni di perbenismo e beneficenza d’autore. E di bene, reale e concreto, ne abbiamo incontrato davvero tanto tra le tendopoli in questi 18 giorni dal sisma. Volontari che a testa bassa hanno agito sin da subito con le mani sporche di polvere e lo sguardo di chi spera di trovare un accenno sorriso negli occhi di chi sa di aver perso tutto. Una mano che si appoggia sulla spalla di un altro fratello per fargli sentire il calore e la vicinanza in momenti dove la disperazione ha preso il sopravvento.
Le immagini di quei giorni rimbalzate sui media non tramettono il calore umano di uomini senza un volto in tv ma dal gran cuore. Per raccontane una delle centinaia di storie che sono passate come fotogrammi di un film nei primi momenti del disastro che ha colpito quelle terre, i racconti di due volontari del mio gruppo che hanno sperato fino all’ultimo, fino alle ore 18 del 24 agosto, di poter trovare in vita una mamma e la sua figlioletta. Hanno scavato come tutti gli altri a mani nude dalle 6 del mattino da quando si sono precipitati sul luogo del disastro con i colleghi di volontariato che non usano le divise solo per battersi il petto e fare lustro dei loro sfavillanti colori della divisa ma che credono profondamente in ciò che possono dare senza chiedere mai nulla in cambio. Hanno lavorato tutto il giorno. “Stiamo scavando siamo allo stremo ma speriamo di arrivare in tempo” dicevano sempre.
Alle 18 una telefonata straziante, dalla voce rotta dal pianto. “Non ce l’abbiamo fatta. Le abbiamo trovate, erano unite in un ultimo tenero abbraccio, sono morte”. La ragazza 16 anni, sua madre 50 strappate alla vita dal tremore nel ventre della terra.
Oggi, a distanza di due settimane dal sisma il desiderio espresso da uno dei volontari: solo quello di poter dare un nome a quello che resta di quelle immagini crude e a quei due corpi senza vita per cui si è lottato fino all’ultimo e senza la ribalta dei riflettori, per poter andare a pregare un giorno sulla loro tomba.
Angeli custodi in carne ed ossa come quel vigile del fuoco che in tv intervistato sul ritrovamento di una persona alla domanda ci dica il suo nome ha risposto, “non ha importanza come mi chiamo io sono uno dei tanti vigili del fuoco che stanno lavorando qui per tirare fuori dalle macerie delle persone”.
Anch’io in una veste diversa, quella di volontaria di Protezione Civile di un gruppo senza nome e senza volto come tanti in Italia posso raccontare le tante vicende ascoltate tra quella gente ferita. Tanti perché, tanti dove, tanti come, ma senza risposte. Solo lo sguardo rivolto verso il cielo delle nonnine tra le tende azzurre dei campi di accoglienza, vaganti come fantasmi, possono dare il vero senso di quanto è accaduto. “Cocca, speriamo che Dio ci aiuti perché tra poco il freddo si farà sentire”. Accanto a questa signora con le spalle coperte da uno scialle nero, un volontario della Croce Rossa, Valerio, che la cinge con le braccia per fargli recuperare quella speranza svanita alle 3.36 di quella notte maledetta del 24 agosto. Un abbraccio che scioglie la sua tristezza e il capo chino di quell’esile donna, scampata alla seconda guerra mondiale, si appoggia sulla spalla di un altro uomo senza volto ma dal gran cuore che per giorni ha rinunciato ai suoi riposi rimanendo al fianco di queste persone ferite nell’animo e nel fisico. Accanto a questi grandi uomini in divisa altri uomini a distanza da quelle terre hanno tessuto una rete invisibile ma concreta di solidarietà, pronti a soddisfare ogni esigenza immediata delle popolazioni colpite dal sisma dando ai cittadini in difficoltà tutto ciò di cui avevano bisogno senza mai apparire sulla stampa con titoli altisonanti, né procacciandosi pubblicità indiretta dall’atto di beneficenza, né vantandosi del proprio gesto nonostante le operazioni di solidarietà fossero considerevoli e di grande aiuto. Imprenditori silenziosi uniti solo da una grande nome: Confindustria. Un agire libero, gratuito, disinteressato, accogliente ha accomunato tutte queste persone incontrate nei giorni del terremoto che dà il senso di un’etica del dono non comune in cui la parola chiave è “fraternità”.
C’è un passo alla Bibbia, Matteo capitolo 6, versetti da 1 a 4 che racchiude il senso del tutto:
“Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. •