Inagibili molti luoghi di culto dell’arcidiocesi fermana
A Garulla di Amandola è venuta giù la chiesa. A Casalicchio, nell’abbazia dei Santi Vincenzo e Anastasio, i cinque frati francescani hanno lasciato le celle al primo piano per vivere nella parte a terra che il terremoto non ha toccato. Preoccupa la vela campanaria. Anche le suore dello stesso ordine di Montegiorgio hanno lasciato un’ala dell’antico monastero per ricoverarsi in un altro spazio. Alcuni mattoni sono piombati nella strada sottostante, crepe si sono aperte sul soffitto.
Le monache benedettine di Amandola sono le più colpite. La facciata della chiesa è pericolante, anche l’interno ha subito danni. Le “sorelle” hanno preso dimora in altri spazi dell’edificio.
A Monte San Martino, le monache passano la notte nell’antica lavanderia. Alcuni muri esterni evidenziano crepe che impensieriscono. Il tetto, rifatto da poco, invece non ha avuto problemi. A Sant’Angelo in Pontano le religiose benedettino-neocatecumenali hanno preferito lasciare la loro casa per trasferirsi in Molise. Ne restano quattro che hanno preso alloggio in un cascinale. L’arcidiocesi di Fermo, che si estende tra il Fermano e il Maceratese toccando anche un poco di Ascolano, ha avuto 101 immobili con problemi derivanti dal terremoto del 24 agosto. 20 edifici sono gravemente danneggiati. Si trovano soprattutto in Amandola, Penna San Giovanni, Sant’Angelo in Pontano, Loro Piceno. Ogni edificio ha avuto l’ordinanza sindacale di chiusura.
Anche il Santuario dell’Ambro a Montefortino è chiuso, eccetto la cappella della Madonna, così quello di San Girio a Potenza Picena.
La chiesa più danneggiata è quella di San Cristoforo ad Amandola, sopra il lago di San Ruffino, dove occorre rimuovere la torre. E dove occorrerà farlo in proprio. I Vigili del Fuoco di Fermo non possono intervenire per “cerchiare” o “ingabbiare” la struttura. La caserma dei pompieri di Fermo dipende dal comando di Ascoli Piceno. Per cui una normativa dispone che i vigili debbono essere occupati specificamente “nel cratere”, cioè nel luogo principale del sisma. Per cui la priorità, giustamente, è per Arquata del Tronto. Questo comporta che gli interventi locali dovranno essere compiuti direttamente dai proprietari, in questo caso l’arcidiocesi.
C’è comunque una prassi da seguire: l’ente danneggiato comunica i danni al responsabile unico regionale delle diocesi che a sua volta lo comunica al segretariato regionale che a sua volta organizza le squadre per i sopralluoghi. Le squadre dei sopralluoghi, chiamate “unità di crisi”, sono formate da sovrintende, architetto, responsabile beni mobili, carabinieri del nucleo beni architettonici, tecnico comunale, rappresentante della diocesi, e vigili del fuoco. Di interventi urgenti hanno bisogno le tre torri campanarie di Monsampietro Morico (una nel capoluogo e due a Sant’Elpidio Morico). Per quanto riguarda quadri, arredi sacri, paramenti, opere d’arte in genere, se vengono ricoverati nei paesi di appartenenza, come ad Amandola, basta una comunicazione che indichi il luogo di deposito. Altrimenti l’iter è più complicato. •