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Benvenuti a Torchiaro

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Il paese de “lu curatu de lu trocchia’” ormai quasi abbandonato a se stesso

Mattinata fredda giovedì 13 ottobre. La neve incappuccia da ieri i Sibillini. Non si suderà scendendo e salendo verso Torchiaro. All’altezza dell’azienda biologica Taurus lascio l’auto.
Il cartello stradale indica 2km per l’ex comune oggi sotto Ponzano di Fermo. Ne sono più di tre.
La discesa è sull’asfalto coperto da un tetto di rami. Roverelle che s’incrociano. Sul fondo, tre cartelli ravvicinati, scritti con vernice che sbiadisce: «Non fate agli altri quel che non vorreste fosse fatto a voi», «Tenete pulito l’ambiente» e infine l’ammonizione: «Pensate al futuro dei vostri figli». Un ponte sul fosso Rio apre la salita costellata di case abbandonate e in vendita. Ci sono anche gradevoli villette, con muri a secco. Ad accogliere è un «Benvenuti a Torchiaro», stile Ottocento, su un’abitazione di un secolo e mezzo più avanti. A destra, una croce in ferro, lascito di una missione cittadina anni Cinquanta, quando la chiesa era missionaria e le Madonne pellegrinavano.
Ci sono cammini da fare a piedi: verso Moregnano, Monterubbiano, Capparuccia. Siamo su un diverticolo della Salaria che portava a Santa Maria Mater Domini di Ponzano.
Ad attirarmi è l’incasato medievale, o quel che ne rimane.
Castello di Fermo, saccheggiato dai mercenari del Malatesta e dagli uomini dello Sforza, rischia il declino per dimenticanza contemporanea.
Suggestiva la porta trecentesca. Immagino armigeri. Incontro gatti bianchi e marroni e pure neri. Una colonia. Sono della simpatica signora Annita. Li sta sfamando. Uno s’è posizionato sul balcone oltre la porta. La vista è incredibile: colline verdissime, un gregge che ha formato un cerchio sul campo, il Vettore sbiancato. Di Monterubbiano, colgo solo il campanile più alto, il resto sono alberi.
I residenti sono poco più di cento. Molti gli anziani sopra i novantanni. Se fosse comune autonomo, ruberebbe il primato di longevità a Comunanza. Un breve tratto lungo quello che hanno ribattezzato «Vicolo dei Pazzi» e si arriva in piazza San Simone, è anche il nome della chiesa. Prima dello slargo, su un palazzetto malandato, si legge: «Qui nacque e visse Umberto Marziali, il famoso Pilluccu, primo gagà delle Marche». I quarantenni in su lo ricordano.
La chiesa di san Simone è inagibile. La palla sovrastante la croce sovrastante la torre è stata rimossa dai Vigili del Fuoco dopo il terremoto. La domenica si celebra nel circolo ARCI. «Anche la chiesa ci è stata tolta» commenta amara una signora in grembiule. Di negozi non ce n’è. Resiste una parrucchiera, su prenotazione. Eppure, il luogo è bello e amabile. Un tricolore sfilacciato sventola sul cannoncino della Prima Guerra Mondiale. Diverse le abitazioni ristrutturate accanto alle molte di più fatiscenti. Qualcuno si lamenta per la pulizia delle strade ma è il primo a prendere la scopa per tenere in ordine lo spazio davanti a casa. Borghi sconosciuti, comunità da ricostruire. La nostra storia. Un patrimonio. Torno sui miei passi pensando a Pasolini: «Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi dove sono vissuti i fratelli». •

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