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Firenze, cupola del battistero

La Natività suggerita da un brano di Isaia

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Il Natale nelle prime rappresentazioni artistiche: simboli e allegorie

Le prime espressioni dell’arte cristiana non furono illustrative, ma piuttosto simboliche ed allegoriche.
Le decorazioni catacombali non riprodussero scene evangeliche, ma ricevettero figurazioni allusive, come quella del Buon Pastore, quella della vigna, quella del banchetto eucaristico.
Dall’Antico Testamento vennero evocate le figure di Mosè, che fa scaturire l’acqua dalla roccia, di Giona risputato dalla balena, di Daniele nella fossa dei leoni e di altri personaggi simili.
Dal Nuovo Testamento furono derivate le scene della moltiplicazione dei pani e quella della resurrezione di Lazzaro, sempre con intento allusivo e mistico.
Sulle lapidi e sugl’intonachi catacombali fiorì la nuova simbologia cristiana, col pesce, la colomba, l’agnello, la palma, l’àncora e la lucerna. Perciò fa meraviglia scoprire, nelle Catacombe di San Sebastiano, una figurazione natalizia, dove il Bambino, dentro un cassone di legno, viene adorato da due animali.
Più che la scena della Natività derivata dal testo di San Luca (vi mancano, infatti, la Vergine, San Giuseppe, gli Angeli e i pastori), quella pittura si riferisce alla profezia d’Isaia:
«Il bue conosce il suo padrone; e l’asino la mangiatoia del suo Signore». A rigore, non si tratta dunque di una vera e propria Natività, ma d’un riferimento scritturale, simile a quello dello stesso Isaia, che indica una stella sulla testa di una immagine femminile, alludente alla Vergine da lui profetata.

Costantinopoli, formella con natività, avorio, 1110 ca

Anche quando, dopo l’Editto di Costantino, i cristiani poterono uscire dalle Catacombe e dar mano alle loro basiliche, il testo delle decorazioni, prevalentemente pittoriche, non fu quello degli Evangelisti. I cosiddetti «catini absidali» ricevettero complicate e potenti figurazioni, ispirate al testo dell’ Apocalisse.
Solo più tardi, dopo il Concilio di Efeso, nel quale fu proclamato il dogma della divina maternità di Maria, anche la Natività divenne tema di arte e si ebbero le prime raffigurazioni sceniche, coi vari personaggi, ricavati dalla narrazione di San Luca e, ancor più, dai racconti apocrifi, fioriti attorno alla Madonna e all’infanzia di Gesù.
Il tema era nuovo, ma non è detto che ugualmente nuovo dovesse necessariamente essere lo stile dell’arte.
I primi artisti cristiani, se vivevano nei primi secoli della Redenzione, non vivevano però nei primi secoli dell’arte. Avevano alle loro spalle la grande tradizione dell’arte greco-romana, sulla quale innestarono la loro iconografia.
Già nelle Catacombe, la pittura compendiata e quasi impressionistica ricordava la decorazione floreale e mitologica della casa romana, e i primi sarcofaghi cristiani, dal lato stilistico, non differivano molto da quelli dell’ epoca imperiale.
Evidentemente, i committenti cristiani si rivolsero, in un primo momento, ai laboratori d’arte pagana, dove già si lavorava magistralmente di scalpello ed ancor più di trapano.
Per comporre la nuova scena della Natività, i primi artisti cristiani avevano a disposizione, se non proprio modelli pagani, per lo meno tipi che si potevano prestare, con varianti, alla parte richiesta dalla nuova iconografia.
Scelsero così un bel putto fasciato, quasi staccandolo dal petto della Mater Matuta e lo posero in un cassoncino, rappresentante la mangiatoia.
Per la figura della Madonna, scelsero una specie di Giunone, adagiata sul fianco, ravvolta nel manto e con la testa velata.
San Giuseppe, pater familias, venne rappresentato nella figura d’un vecchio senatore, dalla barba lunga, rivestito con una specie di ampia toga raccolta sul braccio.
Nei laboratori di scultura non mancavano naturalmente figure alate di vittorie e fra quelle fu scelto l’Angelo del Signore.
Quanto ai pastori, non ne mancavano davvero, specialmente nell’arte alessandrina, piena d’idillico naturalismo.
Non restava che montare la scena, secondo un chiaro schema compositivo. Nel mezzo, distesa, in diagonale, la giunonica Madonna. Sopra di essa, il Bambino fasciato e posto nella mangiatoia. Da un lato, seduto e pensieroso, quasi assorto, San Giuseppe. Dall’altra parte, l’Angelo che appare ai pastori.
Naturalmente, in virtù della predizione d’Isaia, a ridosso del Bambino, spuntavano i musi degli animali adoranti, mentre, a causa dei racconti apocrifi, in basso, apparivano le due levatrici intente al bagno del Neonato.

Pisa, Nicolò Pisano, pergamo

Questo fu lo schema delle prime Natività, che col tempo presentarono, sempre più nettamente, la divisione delle due scene. Da una parte, in alto, sopra la figura trasversale della Madonna, la scena del Bambino nella mangiatoia, adorato dal bue e dall’asino. Dall’altra, in basso, la scena del Bambino, curato da Zelomi e Salome. Due scene, che soltanto un grande artista, passato il Mille, riuscì a fondere in un’unica, mirabile composizione. Niccolò Pisano, nel pergamo del Battistero di Pisa, rappresentò, in un pannello, la Natività, con perfetta coerenza plastica. La Madonna, sovranamente placida, conserva ancora, anzi riprende, il carattere giunonico della matrona romana, mentre le levatrici sembrano le ancelle d’una casa patrizia. I pastori, che accorrono alla grotta, invitati dall’Angelo, portano il loro tributo, con atteggiamenti di devota sottomissione.
E dopo il Pisano, la scena della Natività accentua sempre di più il suo carattere d’intima festività e di devota esultanza, pur nella composta severità di un rinnovato classicismo.
La scena, in seguito, assumerà un tono più idillico e un più realistico accento, quando si diffonderà, nella devozione e nell’arte, il popolaresco fervore del francescanesimo, che dominerà, straordinariamente fecondo, tutto il Trecento. •
Piero Bargellini

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