Sono già sette mesi che quella triste domenica di fine ottobre ha ribadito fermamente con un tono terrificante che la Natura è più forte, e di fronte alla quale la nostra forza vacilla e diventa tremendamente instabile. Lo sguardo si rivolge in lontananza, osserva il mio piccolo borgo di collina, ancora meraviglioso e sorprendente, così come tanti altri paesi dell’entroterra marchigiano, mi colpisce una sorpresa: l’estrema lentezza con cui la macchina della ricostruzione sembra voler fissare nella memoria dei paesani questo panorama trasformato, colmo di emozioni indelebili.
Case che portano i segni di un’onda distruttiva che le ha annientate o le ha solo ferite, ma da cui comunque sono uscite perdenti; roulotte e container che brulicano nelle campagne quasi a volersi assicurare una sistemazione in caso di necessità; chiese ormai vuote e in buona parte cadenti, chiuse ermeticamente a qualsiasi passante desideroso di una preghiera, campanili sigillati e campane che predicano da settimane un silenzio pesante e colmo di pianto; impalcature in ogni dove; centri storici deserti e strade di campagna talvolta nemmeno percorribili. Un turista speranzoso chiede “segno tangibile di ricostruzione attiva?” puntando il dito verso l’impalcatura che cinge imperiosa la chiesa medievale fino a qualche mese fa punto di riferimento di tutto il paese: non posso far altro che annuire, ma solo chi vive qui conosce la verità di questo imbarazzante abbandono. Tutto è fermo e il silenzio regna sovrano, ma nonostante ciò nessuno si lamenta.
Poi all’improvviso rompono quel’insopportabile silenzio gli ambulanti del mercato della domenica che, pur di perpetuare la tradizione gastronomica di famiglia, hanno percorso chilometri per esporre i loro prodotti genuini, che acquisiscono così un magico significato; in lontananza la campanella che il parroco ha temporaneamente allestito all’ingresso nel nuovo tendone-chiesa prova a mimare il richiamo solenne dello storico campanile alla messa delle ore 10.30 e poi una festosa chitarra intona un canto di festa: una folla numerosa gremisce il tendone per il giorno del Signore. Abbiamo già vinto. È questa la nostra rivincita più grande e non siamo per niente soli. È da loro e dalla loro tempra che hanno dimostrato in molte occasioni, incoraggiati dalla loro fede, che si avvia la vera ricostruzione. Lo dimostrano coloro che non abbandonerebbero per niente al mondo i loro allevamenti che hanno visto crollare e le loro pecore che hanno visto morire sotto le macerie delle stalle cadute sotto il peso della neve, come se le scosse da sole non fossero state sufficienti. Lo dimostra il macellaio che, con l’ordinanza di inagibilità del suo locale in mano, trasferisce coraggiosamente prosciutti e salami in un container e richiama gioioso e soddisfatto la clientela ad un nuovo inizio. Lo dimostrano gli sposi che, abbandonato il sogno di quella chiesa che per una vita avevano immaginato varcare sulle note della marcia nuziale, pronunciano il desiderato sì proprio davanti a quella meravigliosa chiesa, ma in una location di gran lunga meno accogliente, ma allo stesso altrettanto gradita. Lo dimostrano i volontari che, versando essi stessi lacrime amare davanti a quello che rimane della loro casa, regalano un sorriso ad un’anziana sola in una abbandonata casa di riposo. Lo dimostra il parroco che, addolorato sopportando la vista di una comunità dilaniata e delusa, non esita a confortare, incoraggiare e perfino ringraziare, con un motto ormai famoso per tutta la comunità, di potersi ancora toccare la testa sul collo. Sì, abbiamo capito che la natura è più forte, che le istituzioni tardano ad attivare piani di assistenza e ricostruzione architettonica, ma siamo altrettanto certi che dietro una grande fede e una grande sofferenza arde un fuoco vivo: il fuoco della speranza, fiamma che mai si spegnerà. Abbiamo capito, e lo dimostriamo nei piccoli gesti quotidiani, che la ricostruzione dei cuori e la ricostituzione del nostro coraggio vincerà sulla distruzione, più vigoroso che mai. È proprio sulla scia di questo timido inizio che siamo chiamati a perseverare convincendoci gli uni gli altri che il futuro è davanti a noi e che grazie alla nostra forza ne costruiremo uno più grandioso e sacro di quello che in questi mesi ci è stato distrutto. •
Sonia Morè – segretaria del CPP