Intervistato da Daniele Rocchi, giornalista dell’Agenzia Sir ha raccontato la difficile situazione dei cristiani in Medioriente, costretti a scappare. “Due terzi della città di Aleppo sono stati distrutti. Servirà molto tempo per la ricostruzione ma ci vorrà ancora più tempo per ricostruire un tessuto sociale solido”, ha detto Mons. Pierbattista Pizzaballa. “Nel 2016 da Betlemme – ha detto – sono partite 128 famiglie cristiane, circa 500 persone, tutte famiglie con figli. Sono andate via perché non sanno quale potrà essere tra qualche anno la situazione, se i loro figli avranno ancora il muro. Mi hanno detto ‘la partenza sarà difficile, ma poi per loro sarà meglio’. Parlare di speranza in questo contesto complesso è difficile”.
“Sono rimasto positivamente colpito dalla testimonianza cristiana in zone come quella di Aleppo”, ha aggiunto: “Nel periodo peggiore della guerra il problema principale era l’acqua: le fonti erano controllate da Isis e non tutti avevano pozzi artesiani. Li avevano parrocchie e conventi. I giovani, in quei giorni, nonostante i pericoli, giravano per la città con i camioncini per portare l’acqua alla gente”.
Certo è che il fondamentalismo, le guerre in Iraq e Siria, così come gli altri conflitti in Medio Oriente hanno creato situazioni drammatiche come l’esodo di milioni di persone, gran parte di questi di fede cristiana. La domanda di fondo davanti alla situazione di queste persone è che cosa può fare un cristiano in un Paese occidentale, in che modo la comunità cristiana occidentale può impegnarsi per aiutare queste persone e risollevare questa complessa situazione?
Credo innanzitutto che sono milioni i profughi, ma molto di più sono gli sfollati – sottolinea Pizzaballa -. Se pensiamo alla Siria più di due terzi della popolazione non vive dove si trovava prima della guerra. Naturalmente le situazioni sono miserrime dal punto di vista della vita ordinaria, dal punto di vista economico e da ogni altro punto di vista. I bambini non hanno scuola, non c’è lavoro e non ci sono prospettive. C’è una situazione di instabilità spaventosa che non si è mai vista di proporzioni così drammatiche in questi ultimi sessant’anni nel bacino del Mediterraneo. Questo porrà per le prossime generazioni domande drammatiche – riflette il vescovo -. Non credo che questo esodo si fermerà con la fine della guerra perché questa guerra non ha soltanto distrutto le infrastrutture. Se oggi si va ad Aleppo si scopre che due terzi della città non c’è più su una popolazione di 2 milioni di abitanti. Tuttavia, le infrastrutture si ricostruiscono. La guerra ha distrutto la fiducia nella possibilità di costruire un futuro in quei Paesi e questo richiederà intere generazioni dal punto di vista di tempo, di ricostruzione e sotto tutti i punti di vista che coinvolgerà tutta la comunità internazionale. Quest’ultima sarà coinvolta non soltanto nella ricostruzione, ma anche, lo voglia o no, nell’accoglienza di queste situazioni che come stiamo vedendo ha una conseguenze nella vita dell’Europa e dell’occidente. •
Carlo Fattoretta