La tradizione pastaria italiana, anche se di origini antiche, assume consistenza negli anni ’50-60, raggiungendo livelli di qualità e di produzione di tutto rilievo. Non dimentichiamo che Torre Annunziata ,nel primissimo dopoguerra, era stata definita la “città della pasta”, con nove mulini e più di trenta pastifici. Fu con questa pasta che l’Italia divenne famosa nel mondo.
Gli emigranti veicolarono questo prodotto in America: circa quattro milioni e mezzo di italiani, la maggior parte dei quali provenienti dalle aree più povere del paese. Nel continente americano i primi pastifici nacquero per opera di italiani, per rispondere, alla domanda locale proveniente dalle comunità italiane immigrate.
Tutto questo per dire che noi sapevamo fare bene la pasta anche senza il grano canadese.
È vero che la qualità della pasta è migliorata nel corso degli anni, ma da qui a dire che in Italia non si produce grano di qualità ce ne corre. Semmai c’è un problema di organizzazione, di selezione dei vari tipi di grano, che non facilita di certo il lavoro dei pastifici. La ricerca genetica è andata avanti, e oggi abbiamo varietà di grano duro di eccellente qualità che riescono a dare risultati pari, se non superiori a quelli raggiunti con grani importati.
Basti pensare al nostro territorio. Forse non tutti sanno che a Monte San Pietrangeli c’è un pastificio che produce pasta di ottima qualità, fatta con grano duro locale, che viene esportata in tutto il mondo. Per non parlare della Sicilia e della Puglia, aree dove si produce pasta di ottima qualità con grani duri locali.
Nel corso degli anni il Canada è divenuto il primo produttore mondiale di grano duro, coltivato nelle grandi pianure del Manitoba, Saskatchewan, Alberta, unendo efficienza organizzativa e qualità della granella.
Dal punto di vista organizzativo l’Italia deve ancora camminare molto per raggiungere il Canada. Però, dal punto di vista qualitativo, la nostra granella, in particolare quella prodotta al sud, presenta contenuti proteici medi di tutto rilievo e livelli di micotossine al disotto del grano canadese, che, costretto a viaggiare ammassato sulle navi per lungo tempo, e ottenuto in climi non vocati, come quello delle grandi pianure americane, subisce più facilmente l’attacco di funghi che causano poi la comparsa delle venefiche micotossine. Per non parlare del trattamento definito pre-harvest (pre raccolto), una tecnica che consiste nell’irrorare il grano già cresciuto con un disseccante (il famoso Gliphosate) per farlo seccare e trebbiare più velocemente, scongiurando il pericolo che l’inizio della stagione fredda (che in Canada arriva spesso prima che il grano seminato in primavera maturi) pregiudichi il raccolto. In questo modo il seme assorbe la sostanza in dose superiore a quanto accade quando il Gliphosate viene utilizzato come diserbante. Va da sé che il disseccamento del grano provoca un innalzamento del valore proteico che gli consente di diventare un grano di qualità.
Inoltre, questo famigerato grano canadese arriva a costare meno del nostro prodotto nazionale grazie al fatto che, essendo coltivato su immense pianure, consente di attuare quelle economie di scala che da noi sono impensabili.
Quindi, grano trattato con diserbanti, spesso con dosi di micotossine sopra la norma, ma di qualità proteica elevata, di prezzo concorrenziale, diventa un prodotto appetito dai pastifici, che, per motivi di convenienza, lo utilizzano a piene mani.
In Italia si fa un prodotto di qualità migliore di quello canadese, perché non viene trattato con diserbanti prima del raccolto, ed è naturalmente povero di micotossine grazie al clima mediterraneo in cui viene coltivato. Occorre però organizzarsi soprattutto dal punto di vista della selezione delle varie partite dividendole per classi di qualità, e promuovere, con una etichettatura chiara e trasparente, la pasta prodotta con grano nazionale attraverso una pubblicità mirata a incrementarne il consumo.
Si potrebbero infatti distinguere due linee di consumo: pasta interamente fatta con grano italiano e pasta prodotta con miscele di grani nazionali ed esteri, come è stato fatto con l’olio extra vergine di oliva. Al consumatore si lascia la scelta, come pure la disponibilità a pagare un prezzo più alto del 30-40% la pasta prodotta con grano esclusivamente italiano. Ciò consentirebbe agli agricoltori di sopravvivere e di aumentare le superfici agricole investite a grano duro.
Come sempre siamo noi consumatori a fare la differenza. Non dimentichiamo la lezione dell’olio di Palma, che è quasi sparito dalle merendine. •
Andrea Strafonda