Tra storia e leggenda. L’atterrato racconta una guerra
La valle dell’Ete Vivo che va da Salvano a Ete Caldarette, nel comune di Fermo, un tempo era popolata di case di fango.
Le case di fango, chiamate anche atterrati o pisè, sono abitazioni tipiche marchigiane del passato. Vi abitavano i mezzadri che lavoravano le terre dei ricchi.
Queste venivano costruite con dei mattoni crudi fatti d’argilla mischiata a paglia e messi l’uno sull’altro. Infine venivano intonacati con calce e feci di bovino.
In un atterrato vicino al fiume, racconta nonno Nicola, abitava una vecchia coppia di contadini senza figli.
Davanti al loro portone c’era un mucchio di paglia che serviva per nutrire gli animali da loro allevati.
Il marito, nelle sere di primavera, lasciava la moglie sola per recarsi nelle famiglie vicine a scambiare due chiacchiere e a bere qualche bicchierino con gli amici.
La donna però era terrorizzata dal rimanere sola. Nonostante la sua manifestazione di paura, lo sposo non ne voleva sapere di rimanere a casa con lei. Le diceva: “Non puoi vietarmi questo, in fondo non faccio nulla di male, vado dal tale, scambiamo due parole, beviamo qualche bicchiere innacquato e prima di mezzanotte torno a casa”.
Ma la sua dolce metà gli rispondeva: “Non è che io creda che tu faccia qualcosa di male. Le famiglie dove ti rechi le conosco bene e sono tutte persone perbene. Il problema è che quando tu esci da qui…”
La donna lasciò la frase troncata. Ciò fece insospettire il marito che con voce sostenuta gli urlò: “Che caspita succede la sera quando esco?!”.
Peppina abbassò gli occhi. Ernesto insistette alzando più forte la voce. Allora lei, per paura che da lontano potessero ascoltare la loro discussione, confessò: “L’altra sera quando te n’eri già andato si alzò un vento impetuoso, aprii la finestra e vidi un’ombra che camminava vicino al mucchio di paglia. All’inizio pensai che fossi tu, anche se l’ombra apparteneva ad un uomo molto alto di statura. Io ti chiamai ma non sentii la tua risposta. Poi l’ombra si mise a sedere sulla paglia come se stesse mangiando qualcosa”.
Ernesto la interruppe: “Balle! Prenditi una camomilla e vedrai che l’ombra non la vedrai più”.
Le sere seguenti il marito rientrando domandava ridendo: “È venuta l’ombra?”. La moglie seria rispondeva: “Viene tutte le sere e si siede sul pagliaio, di solito poco prima del tuo rientro se ne va. Oramai non ci faccio più caso”.
Per curiosare sulla faccenda, una notte il marito tornò prima. La moglie teneva ancora il lumino acceso. L’uomo diede un sguardo verso il pagliaio e lì scorse l’ombra di un signore molto alto seduto come se stesse mangiando o fumando. Terrorizzato Ernesto entrò in casa gridando: “Ho visto l’ombra! Ho visto l’ombra!”.
La moglie lo tranquillizzò, gli offrì un po’ di camomilla che aveva sul fuoco e gli disse: “Non ti preoccupare è innocuo, vedrai che fra un po’ se ne andrà da solo”.
Il marito prese il lumino e si avvicinò alla finestra, l’ombra era ancora là. La donna gli disse: “Finisci di prendere la camomilla e prova a stare tranquillo”.
Presa la bevanda si affacciò nuovamente dalla finestra e l’ombra non c’era più. “Che ti avevo detto? A una certa ora se ne va!”, esclamò Peppina.
Il marito le notti seguenti non lasciò più sola la moglie. Tutte le sere assisteva con lei all’apparizione di quell’immagine. Infine i due presero la decisione di chiamare Baldino.
Baldino era un vecchio fabbro al quale i contadini di quella parte del Fermano attribuivano poteri soprannaturali.
Quando Ernesto era in guerra, nel 1943, di lui non si seppe più nulla. Peppina chiese a quel vecchio se Ernesto fosse morto. Le rispose che non solo non era morto, ma che aveva con lui anche dei soldi.
Il giorno in cui Ernesto tornò dalla guerra raccontò che fu fatto prigioniero e per non farsi togliere dai suoi carcerieri le banconote che possedeva, se le cucì dentro la camicia. Passò tutta la prigionia con gli stessi abiti senza poter spendere quei soldi, che spese solo quando fu liberato. L’oracolo di Baldino si era avverato anche se in maniera diversa da come era stato compreso dalla contadina.
Il fabbro, successivamente, andò nella casa della coppia ad aggiustare alcune cose in ferro, i due gli raccontarono la storia dell’ombra. Baldino gli rispose: “Di cosa vi meravigliate?! La vostra casa è costruita su un cimitero di soldati che combatterono ai tempi del potere papalino”.
Qualche anno dopo i due lasciarono il campo e andarono a vivere da un nipote perché oramai erano troppo vecchi per lavorare la terra. Il pisè abbandonato iniziò a logorasi e a ritornare ad essere un mucchio di detriti fangosi. Il proprietario del fondo, negli anni ’60, chiamò una squadra di muratori per rimuovere i residui e livellare il terreno. Mentre gli operai scavavano dalla terra emerse uno scheletro di un uomo molto alto.
Nonno Nicola si ricordò del racconto che gli aveva fatto Peppina quando abitava in quel campo e di quello che le aveva detto il vecchio fabbro. Il nonnino, oggi ottantenne, è ancora convinto che lungo la valle dell’Ete ci sia un cimitero di soldati risalente allo Stato Pontificio come sosteneva quel fabbro.
Ho ascoltato tante volte il racconto di Nicola. L’unica cosa certa che posso affermare grazie alle mie letture è che nel 1799, a poca distanza del campo di Enesto e Peppina, si scontrò l’esercito francese con quello partenopeo. Quest’ultimo sconfinò nello Stato Pontificio per difendere i suoi confini, ma nello scontro ebbe la peggio. Fra le file napoletane combattevano soldati mercenari svizzeri, i quali per far parte della truppa dovevano essere molto alti di statura.
Ciò mi ha fatto venire in mente lo scheletro ritrovato in prossimità dell’atterrato della coppia di contadini.
Questo racconto di nonno Nicola lascia il mistero proprio delle leggende. Forse è l’ultimo dei racconti di quei vecchi marchigiani abituati a narrare perché nati in un periodo in cui non esistevano la televisione e i social media. •
Mirco Fiaschi