(due sonetti embricati)
Apro la vita, oggi, il giorno è chiaro,
soltanto qualche nube all’orizzonte,
e una foschia di senso dolce-amaro
distende sulle messi le sue impronte.
….Sorge il sole e tramonta, e l’ampio giro
….si piega nel lunare della notte;
….e il tempo, un sospirare d’un sospiro,
….col firmamento va, ma non ha rotte.
Tutto m’osserva, ma non fa parola,
come chi d’altra cosa non si cura
che offrire al vento una leggenda sola
e attende chi la versi “in sua scriptura”.
….E se una scala d’eviterne scale
….t’aggiorna, o mondo, sù di grado in grado,
….l’immagine inseguendo tua che sale,
….vertiginosa-mente al cielo cado.
Quiete alla grande quercia, e più all’ulivo,
chiedo che ad altri apportatori d’ombra
nel raggio di quel “quid” più inquieto e vivo
che in sé dilaga e l’universo adombra.
….Messaggeri d’estranea consistenza,
….calami d’oro in tempra di valore,
….con-segnano l’estrema quintessenza
….d’ogni amore e così d’ogni dolore.
Apro la vita, oggi, il giorno è un chiaro
timbro di bruma, timbro dolce-amaro.
….Tramonta e sorge il sole, e alle sue rotte
….volge l’ampio lunare della notte.
Angeli
L’angelo primo mi donò una tromba
d’oro, e musicai cosí il mio dolore;
lo lamentai, e fu il cuore la colomba
che violò col silenzio quel clamore.
Mi porse il secondo angelo una spada
d’oro, e sciabolai cosí il mio furore;
lo lamentai, e fu il cuore quella strada
che arse in terra e fatica ogni altro ardore.
Il terzo venne e mi recò una fronda
d’oro, e fustigai cosí il mio vigore;
lo lamentai, e fu il cuore quella gronda
che ristorò di sete ogni languore.
Rifulse il quarto messo, e fu un’assenza
che trapassò di sé ogni presenza.
Antica veranda
Sulla veranda lunga dei miei anni
accarezzo ringhiere arrugginite
e licheni dorati fra gli inganni
d’ombre in frazioni appena rinverdite.
Un refolo d’esausta solitudine
avvolge l’ambulacro già sbiadito,
inedie fatte d’aria e un’inquietudine
vasta come un paesaggio inaridito.
Assenze in simulacri di presenze
s’accalcano fugaci ed indiscrete,
brevi flash-back d’eteree inconsistenze
rubate in fermo-immagine e obsolete.
E un cavo tempo vuoto più del vuoto
sta fra il presente e un tempo ormai remoto.
Estate 2018
Decidue foglie gli anni transitati
ai rintocchi di limpide stagioni,
fra raccolti pregiati e provvigioni
d’ipoteche su viaggi immaginati.
Si colora ogni tempra al primo sole
sul far del giorno, e i lecci e i buoni ulivi,
le messi e i voli rapidi e giulivi
tracciano le mie labili parole.
Se è facile evocare nostalgie
d’istanti già beati o inconsapevoli,
non troverò ristoro in dilettevoli
illusioni d’antan, ma in altre vie.
Vie ardue, onde il salire è la misura
lungo ogni aspra virtù che sa d’arsura.
ALDA MERINI, un personale ricordo
Quelli che seguono sono i versi della poetessa milanese scomparsa nel 2009, proposti in una delle tracce per la prima prova scritta dell’esame di maturità 2018. Un canto alla solitudine:
S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia,
se mi trascina l’amore, tornerò,
stanne pur certa;
i sentimenti cedono, tu resti.
Era il mese di settembre del 2003, ed eravamo a Milano, Università Cattolica, per rendere omaggio agli ottant’anni del poeta Luciano Erba. Non eravamo ottanta, come recitava il titolo del volume a lui dedicato, ma una trentina, e tra questi Alda Merini. Io lessi per ultimo (Z-amponi) (http://www.italian-poetry.org/zamponi_giovanni.html) il mio componimento, un sonetto che ha per tema proprio la solitudine.
Mi raccontò anni più tardi Enrico D’Angelo (http://www.italian-poetry.org/enrico-dangelo/ ) che, appena cominciai la lettura, la Merini si concentrò su di me e mi seguì con attenzione fino alla fine. Ed ecco il sonetto:
Tante le solitudini stasera
che indossano l’abito dell’attesa,
mentre si svela, intima e straniera,
la vana verità d’ombre indifesa.
Poco a poco si stempera ogni voglia
di pace e di contesa in una vaga
identità che riveste e si spoglia
e annega questo cuore, se l’appaga.
Non so se ricercare fuori o dentro
di me per inseguire luci nuove
che non siano galassie senza centro,
firmamento d’indizi senza prove.
È un grande amore, a volte, che mi spinge,
a volte l’ombra di un’immensa sfinge.