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Poesie di Giovanni Zamponi

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EXPERIENTIA
(due sonetti embricati)

Apro la vita, oggi, il giorno è chiaro,
soltanto qualche nube all’orizzonte,
e una foschia di senso dolce-amaro
distende sulle messi le sue impronte.

….Sorge il sole e tramonta, e l’ampio giro
….si piega nel lunare della notte;
….e il tempo, un sospirare d’un sospiro,
….col firmamento va, ma non ha rotte.

Tutto m’osserva, ma non fa parola,
come chi d’altra cosa non si cura
che offrire al vento una leggenda sola
e attende chi la versi “in sua scriptura”.

….E se una scala d’eviterne scale
….t’aggiorna, o mondo, sù di grado in grado,
….l’immagine inseguendo tua che sale,
….vertiginosa-mente al cielo cado.

Quiete alla grande quercia, e più all’ulivo,
chiedo che ad altri apportatori d’ombra
nel raggio di quel “quid” più inquieto e vivo
che in sé dilaga e l’universo adombra.

….Messaggeri d’estranea consistenza,
….calami d’oro in tempra di valore,
….con-segnano l’estrema quintessenza
….d’ogni amore e così d’ogni dolore.

Apro la vita, oggi, il giorno è un chiaro
timbro di bruma, timbro dolce-amaro.

….Tramonta e sorge il sole, e alle sue rotte
….volge l’ampio lunare della notte.

 

Angeli

L’angelo primo mi donò una tromba
d’oro, e musicai cosí il mio dolore;
lo lamentai, e fu il cuore la colomba
che violò col silenzio quel clamore.

Mi porse il secondo angelo una spada
d’oro, e sciabolai cosí il mio furore;
lo lamentai, e fu il cuore quella strada
che arse in terra e fatica ogni altro ardore.

Il terzo venne e mi recò una fronda
d’oro, e fustigai cosí il mio vigore;
lo lamentai, e fu il cuore quella gronda
che ristorò di sete ogni languore.

Rifulse il quarto messo, e fu un’assenza
che trapassò di sé ogni presenza.

 

Antica veranda

Sulla veranda lunga dei miei anni
accarezzo ringhiere arrugginite
e licheni dorati fra gli inganni
d’ombre in frazioni appena rinverdite.

Un refolo d’esausta solitudine
avvolge l’ambulacro già sbiadito,
inedie fatte d’aria e un’inquietudine
vasta come un paesaggio inaridito.

Assenze in simulacri di presenze
s’accalcano fugaci ed indiscrete,
brevi flash-back d’eteree inconsistenze
rubate in fermo-immagine e obsolete.

E un cavo tempo vuoto più del vuoto
sta fra il presente e un tempo ormai remoto.

 

Estate 2018

Decidue foglie gli anni transitati
ai rintocchi di limpide stagioni,
fra raccolti pregiati e provvigioni
d’ipoteche su viaggi immaginati.

Si colora ogni tempra al primo sole
sul far del giorno, e i lecci e i buoni ulivi,
le messi e i voli rapidi e giulivi
tracciano le mie labili parole.

Se è facile evocare nostalgie
d’istanti già beati o inconsapevoli,
non troverò ristoro in dilettevoli
illusioni d’antan, ma in altre vie.

Vie ardue, onde il salire è la misura
lungo ogni aspra virtù che sa d’arsura.

 

ALDA MERINI, un personale ricordo

Quelli che seguono sono i versi della poetessa milanese scomparsa nel 2009, proposti in una delle tracce per la prima prova scritta dell’esame di maturità 2018. Un canto alla solitudine:

S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia,
se mi trascina l’amore, tornerò,
stanne pur certa;
i sentimenti cedono, tu resti.

Era il mese di settembre del 2003, ed eravamo a Milano, Università Cattolica, per rendere omaggio agli ottant’anni del poeta Luciano Erba. Non eravamo ottanta, come recitava il titolo del volume a lui dedicato, ma una trentina, e tra questi Alda Merini. Io lessi per ultimo (Z-amponi) (http://www.italian-poetry.org/zamponi_giovanni.html) il mio componimento, un sonetto che ha per tema proprio la solitudine.
Mi raccontò anni più tardi Enrico D’Angelo (http://www.italian-poetry.org/enrico-dangelo/ ) che, appena cominciai la lettura, la Merini si concentrò su di me e mi seguì con attenzione fino alla fine. Ed ecco il sonetto:

Tante le solitudini stasera
che indossano l’abito dell’attesa,
mentre si svela, intima e straniera,
la vana verità d’ombre indifesa.

Poco a poco si stempera ogni voglia
di pace e di contesa in una vaga
identità che riveste e si spoglia
e annega questo cuore, se l’appaga.

Non so se ricercare fuori o dentro
di me per inseguire luci nuove
che non siano galassie senza centro,
firmamento d’indizi senza prove.

È un grande amore, a volte, che mi spinge,
a volte l’ombra di un’immensa sfinge.

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