Francesco d’Assisi, testimone di pace e povertà

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Civitanova ricorda lo sposo di Sorella Povertà

Scriveva Charles Peguy: “Siamo i primi uomini dopo Gesù, senza Gesù”. Eppure, la regalità di Cristo è già presente nelle testimonianze dei santi. Cristo, ieri, oggi e sempre. È la scritta che campeggia, in basso, sul sagrato della chiesa, dedicata a Cristo Re, a Civitanova Marche. È di monito anche per il pedone o l’automobilista. L’Unità Pastorale Cristo Re-San Pietro non poteva scegliere un tema migliore per festeggiare Cristo Re, proponendo la figura di Francesco d’Assisi come testimone di pace e povertà.
Salone dell’oratorio pieno in ogni ordine di posti, venerdì 23 novembre, più di un centinaio le persone presenti. Tutto ha avuto inizio alle ore 21,15 con la presentazione della prima parte per opera di don Mario Colabianchi, parroco della suddetta Unità Pastorale. La figura di San Francesco d’Assisi uomo di pace è stata illustrata da padre Pacifico Sella, docente di Storia della Chiesa – Studio teologico San Bernardino di Verona, una delle massime autorità in campo storico. Ha all’attivo circa ottanta pubblicazioni tra opuscoli, libri e articoli.
Il dialogo di Francesco d’Assisi con il sultano d’Egitto, tema del suo intervento, avviene nel corso della quinta crociata (1217 – 1221). Il poverello d’Assisi si imbarca, il 24 giugno del 1219, su una nave in Ancona, con undici compagni, e giunge a Damietta in Egitto, dove i crociati hanno posto la città in stato d’assedio. Sono già partite alcune conferenze promosse dal comitato voluto da mons. Angelo Spina, vescovo della città dorica, per celebrare gli ottocento anni dallo storico imbarco di San Francesco dal porto d’Ancona.
Il sultano al – Malik al Kamil riceve Francesco d’Assisi e un suo compagno quando vige una tregua tra l’esercito dei crociati e quello mussulmano. Il permesso di recarsi presso il campo degli Infedeli gli è accordato dal legato pontificio, Pelagio Galvao, cardinale di Albano, benedettino portoghese, uno dei maggiori responsabili del fallimento della quinta crociata per i suoi contrasti con Giovanni di Brienne ( 1148 – 1237), re di Gerusalemme, uno dei più indomiti comandanti nel campo cristiano. Il legato, in perfetto stile clericale, volle concentrare su di sé tutta l’operazione della quinta crociata, non avendo nessuna competenza né coraggio.
Le fonti storiche per ricostruire l’evento sono numerose e variamente distribuite nel corso di tre secoli (duecento, trecento, quattrocento), sette cristiane, una araba (XV sec.). La più attendibile è quella di Ernoul (1227-1229), che così scrive: “Due chierici che si trovavano nell’esercito a Damietta, si recano dal Cardinal-Legato (Pelagio) per manifestargli l’intenzione di andare a predicare al Sultano e domandano il suo beneplacito. Il Cardinale dissente, ma permette che vadano, dove volevano andare, se non per compiere un gran bene; allora il cardinale disse che se lo volevano, potevano pure andarci, ma che non si pensasse da nessuno che era lui ad inviarli”.
Sottile arte diplomatica unita ad una vigliaccheria di fondo, tipica di un certo modo di fare, in auge anche oggi.
Continua la cronaca:
“I due chierici partirono dal campo cristiano e andarono in quello dei saraceni. Sono accolti dalle sentinelle saracene come messaggeri o come apostati; alla presenza del Sultano: portatori di un messaggio? O farsi mussulmani? Francesco propone un contradictorium con i teologi del Sultano. Questi rifiutano e propongono la decapitazione dei due, poi se ne vanno. Il Sultano offre loro copiosi doni che i due rifiutano e fanno ritorno all’accampamento cristiano”.
Ernoul non dice nulla su quello che Francesco e il Sultano si siano detti.
Giacomo da Vitry (1220), un’altra fonte storica, scrive: “Francesco volle recarsi nell’accampamento del Sultano d’Egitto, intrepido e munito solo dello scudo della fede. Quando gli fu portato davanti, vedendolo in sembianza di uomo di Dio, la bestia crudele si sentì mutata in uomo mansueto e per alcuni giorni, lo ascoltò con molta attenzione, mentre predicava Cristo davanti a lui e ai suoi. Il Sultano, preso dal timore che qualcuno del suo esercito, convertito al Signore dall’efficacia delle sue parole, passasse all’esercito cristiano, comandò che fosse ricondotto, con grande onore e protezione, nel nostro campo”. Il Sultano, anche se si pone sulla stessa lunghezza d’onda di Pelagio, quanto alla diplomazia, congedandolo, manifesta un qualche desiderio di superare le barriere religiose, quando dice: “Prega per me, perché Dio si degni rivelarmi quale legge e fede gli è più gradita”.
Le difficoltà del dialogo tra le tre grandi religioni monoteiste: ebraica, cristiana e musulmana nascono proprio dal fatto che ognuna di loro ritiene, di essere depositaria di una verità assoluta, ha aggiunto il relatore, rispondendo a una domanda fatta da uno del pubblico in sala, nel corso del dibattito finale.
La seconda parte, proiezione di una scena del film “Fratello Sole, Sorella Luna” (1972), per la regia di Franco Zeffirelli e la relazione Francesco d’Assisi e la scelta di povertà di don Daniele Federici, docente di Storia della Chiesa presso l’Istituto teologico marchigiano di Ancona, è stata presentata da Aldo Caporaletti, promotore e organizzatore culturale. La scena del film è quella della spogliazione di Francesco davanti al padre e al vescovo di Assisi. Don Daniele Federici della fraternità missionaria S. Carlo Borromeo, parroco della Parrocchia Sacra Famiglia di Colombarone, quartiere di Pesaro, con l’utilizzo di alcune fonti francescane, ha illustrato la radicalità della scelta di San Francesco per la povertà, le sue motivazioni più profonde e il contagio della figura di Francesco presso i giovani.
Nel testo Leggenda Perugina si legge: “Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che, dal tempo che cominciò ad avere dei fratelli e poi per tutta la durata della sua vita, usò discrezione verso di loro bastandogli che nei cibi e in ogni altra cosa non uscissero dai limiti della povertà e dell’equilibrio, cosa tradizionale tra i frati dei primordi… Noi, che siamo vissuti con lui, non potremmo dire a quanto numerose e urgenti necessità del suo corpo egli negò soddisfazioni nel vitto e nel vestito, per dare il buon esempio ai fratelli e aiutarli a sopportare più pazientemente le loro privazioni”.
Qui è la radicalità della scelta per la povertà. La sua origine è teologica. Nasce da un rapporto vivo con Cristo: “Francesco meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro” (Tommaso Da Celano).
La serenità dell’animo è la perfetta letizia. La scelta della povertà di Francesco fu contagiosa tra i giovani. Nel 1209 erano solo dodici fraticelli a seguirlo, nel 1221 sono tantissimi quelli che scelgono di entrare a far parte dell’ordine francescano. Tutto: la vita, la morte, è dentro un orizzonte di letizia infinita. Dante Alighieri e il suo canto dedicato a San Francesco non possono essere compresi senza la spiritualità francescana.
La povertà si coniuga con l’amore: “Ma perch’io non proceda troppo chiuso / Francesco e Povertà per questi amanti / prendi oramai nel mio parlar diffuso” (Paradiso, Canto XI). •

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