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MONS. ANGELO FAGIANI

Con garbo e rispetto

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Mons. Angelo Fagiani nel ricordo di una monaca benedettina.

Lo incontrai la prima volta in monastero in qualità di confessore delle collegiali, mentre ricopriva la carica di Rettore del Seminario di Fermo. Un giorno, sentendo il bisogno di riconciliazione, andai a confessarmi anch’io da lui, dietro una piccola grata in sagrestia. Prima dell’assoluzione, convinto che io fossi un’educanda, mi rivolse parole di esortazione, spronandomi a studiare, ad avere rispetto per le monache ch’erano tutte brave e che si prendevano cura di noi con amore. Non rivelai subito la mia identità di postulante, lasciando al tempo ogni sorta di chiarificazione. Potrei mettere il punto perché già questa piccola “parenesi” che è il compendio della carità nello stile paolino, è un programma di vita che sempre mi è rimasto impresso.
“Quando incontri qualcuno sulla tua strada, non guardare ciò che ha, ma ciò che è, quello che dice, la sua capacità di farti riflettere, il suo sguardo, il suo modo di parlare degli altri: Ecco, il modo in cui parla degli altri, ti racconta la grandezza del suo cuore” (A.S. Simoni).
L’esortazione di cui sopra e il parlare bene di tutte le monache, senza fare confronti, mi aiutò molto, quasi una spinta in più per restare con persone che cercavano davvero Dio e lo trasmettevano agli altri: era davvero il posto che desideravo! Mi ritornarono i mente subito le parole della mia santa amata:
“O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Si, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.
Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà” (Santa Teresa di Lisieux).
Mons. Angelo era definito persona buona, ma bontà non è sinonimo di buonismo.
Se uno dice di avere fede, ma non ricerca la verità non è ancora una persona buona. Coloro che non ricercano la verità di certo non possiedono alcun senso di rettitudine, né possono amare ciò che Dio ama e odiare ciò che Dio odia. Essere buoni allora è avere “sapore” evangelico, diventando così testimoni silenti. Quell’incipit all’inizio della mia testimonianza evidenzia la scelta di Mons. Angelo, quella di vedere in positivo, di non dir male di nessuno: bontà allora non è qualcosa di naturale, come essere biondi o bruni e via dicendo, ma un cammino in salita, faticoso, ma bello perché è “grano” che sfama e sostiene perché il mondo di questo ha bisogno.
“La bellezza salverà il mondo” diceva Dostoevskij: la bellezza della vera bontà!

San Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, scrive che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni» (n. 41). Mons. Angelo era davvero un testimone, parco di parole, ma fattivo e concreto, nonostante la sua apparente “tranquillità” che non era flemma. Gli occhiali dalla doppia lente, intensificavano il suo sguardo profondo ed accogliente. Apparentemente “tranquillo”, come dicevo prima, ma in realtà uno che “spingeva, sollecitava, promuoveva, un apripista”, ma con garbo e rispetto.
Era con i Cursillos quando venne al monastero per un incontro , non sfuggii ai suoi occhi attenti e subito fui “attivata” – in piena obbedienza alla Madre Abbadessa- per testimonianze sulla scelta fatta perché Mons. Angelo aveva molto a cuore la vita monastica, tant’è che ogni tanto portava i seminaristi al monastero per la condivisione della preghiera, per lui motore di ogni apostolato, come sosteneva Padre André Louf, monaco trappista francese morto nel 2010 e grande maestro di spiritualità, «la preghiera più contemplativa e l’ azione più impegnata sono praticamente identiche». Avvicinandolo, si percepiva in lui davvero questo binomio ben armonizzato: Marta e Maria erano due facce della stessa medaglia. Senza la preghiera non si prepara nulla di quella che è un’ azione all’ interno della storia.
Oggi è difficile fermarsi, stare da soli, restare in silenzio, spesso ci si scusa di non avere tempo, in realtà si è degli alienati del tempo, incapaci di dominarlo ed ordinarlo: lui, invece, sapeva sostare, dominare e ordinare il suo tempo e a ciò invitava, metodico appunto com’era!
Pregare, studiare, agire: questi tre verbi delineano la sua statura di uomo, sacerdote e Vescovo!
Il seminario di Fermo nel frattempo si arricchisce dell’istituto di Scienze Religiose. Arriva al Monastero con la locandina da esporre, ma anche con la proposta alla mia Madre Abbadessa di farmi frequentare l’ Istituto.
Divenne così il mio professore di Morale, pignolo ed esigente, pur restando sempre accogliente: la serietà del docente ben si sposava con la paternità del ministro di Dio!
Parecchie volte ho sperimentato durante la confessione la sua accoglienza, una vera e propria tenerezza, un toccare Cristo, incrociare il suo sguardo pieno di amore, un risorgere dentro!
Divenuto successivamente Vescovo di Camerino sceglie come motto per lo stemma del suo ministero episcopale, al quale fu chiamato da Giovanni Paolo II il 14 maggio 1997 “Maior est caritas”.
Penso proprio che lo abbia ben incarnato perché in lui è davvero prevalso più l’uomo di Dio che l’uomo di cultura, attento, accogliente e premuroso com’era!
Ho ancora nel cuore un ricordo bellissimo in occasione dell’Ordinazione Episcopale di Mons. Armando Trasarti al Duomo di Fermo. Alla fine, mentre stavo per uscire dalla Chiesa Madre, mi sento chiamare con voce limpida; mi giro e quale non fu la mia sorpresa nel vedere proprio lui con un viso raggiante, un sorriso pieno di gioia che mi abbracciava, lui costretto su una sedia a rotelle per un precedente ictus, a causa del quale non poté più esercitare il suo ministero episcopale, ma continuò con la sua vita di “consegnato” al Signore il suo motto “Maior est caritas”. •

Madre M. Cecilia, osb

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