Moltiplicazione dei pani e dei pesci – Chiesa abbaziale di Saint-Ouen, Rouen (Francia)

Compassione e tenerezza

Stampa l articolo

Lo stretto legame tra il pane eucaristico e il pane quotidiano.

È su una barca, in disparte, in un luogo deserto: ha appreso la notizia della morte di Giovanni Battista e vorrebbe fermarsi da solo a piangere l’amico scomparso. Cerca la solitudine, Gesù, per capire meglio cosa l’aspetta, quale responsabilità dopo l’esecuzione di colui che lo ha battezzato. Ma in quel luogo solitario è raggiunto dalla gente che ha bisogno, ha necessità di lui. Un cambio di programma, dunque, per Gesù che si appresta a vivere l’incontro con quella moltitudine di persone. che Matteo conta in cinquemila uomini “senza contare le donne e i bambini”.
Non è certo un pic nic: un po’ di cibo, qualcosa da bere e tanta allegria. Per lui il momento della solitudine cercata, della sofferenza personale, si trasforma nell’incontro con una umanità sofferente che ha bisogno di vicinanza, di consolazione. Che ha bisogno anche di nutrirsi. Malati, infermi, una umanità che ha già capito che dal Signore riceverà tutto: così cercando l’essenziale si è “dimenticata” di tutto il resto, cibo compreso.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è nella gratuità del gesto che in Isaia ha queste parole: “comprate e mangiate senza denaro e senza spesa vino e latte”. La gratuità del cibo, nel racconto evangelico, per Papa Francesco diventa occasione per guardare alla situazione sociale e economica del paese, e si traduce in un auspicio: “con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro: senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti. Preghiamo per questo, perché è e sarà un problema del post-pandemia”.
È interessante cogliere nelle parole di Gesù – “date loro voi stessi da mangiare” – da una parte, una assunzione di responsabilità nei confronti della folla, dall’altra, un invito rivolto ai suoi di cambiare atteggiamento: “non dire ‘congedali, che si arrangino, che trovino loro da mangiare’, no, ma ‘che cosa ci offre la Provvidenza da condividere?’”
Gesù, dice Papa Francesco all’Angelus, “vuole educare i suoi amici di ieri e di oggi alla logica di Dio”, cioè “la logica del farsi carico dell’altro. La logica di non lavarsene le mani, la logica di non guardare da un’altra parte”. Il “che si arrangino”, dice il Papa, “non entra nel vocabolario cristiano”.
Da un lato abbiamo il realismo, se così lo possiamo chiamare, dei dodici – non abbiamo cibo, ormai è troppo tardi – e dall’altra la condivisione del Signore per il quale non è mai troppo tardi: ci sono solo cinque pani e cinque pesci, ma diventano non solo sufficienti a sfamare tutti, ma resta tanto cibo da riempire dodici ceste. Gesù manifesta così la sua potenza, dice Francesco, non “in modo spettacolare, ma come segno della carità, della generosità di Dio Padre verso i suoi figli stanchi e bisognosi. Egli è immerso nella vita del suo popolo, ne comprende le stanchezze, ne comprende i limiti, ma non lascia che nessuno si perda o venga meno: nutre con la sua Parola e dona cibo abbondante per il sostentamento”.
In questo donare chiede la collaborazione di tutti così come Gesù chiede ai discepoli di “distribuire il pane per la moltitudine”.
Chiaro anche, nel gesto del benedire e spezzare il cibo, gli occhi rivolti al cielo, il riferimento all’eucaristia, il legame stretto, per il Papa, “tra il pane eucaristico, nutrimento per la vita eterna, e il pane quotidiano, necessario per la vita terrena”. Compassione, e tenerezza. Quella di Gesù verso le folle “non è sentimentalismo, ma la manifestazione concreta dell’amore che si fa carico delle necessità delle persone”. Quando Gesù vede un problema, ricorda Francesco, ha compassione. “Non è un sentimento puramente materiale; la vera compassione è patire con, prendere su di noi i dolori altrui.
Forse ci farà bene oggi domandarci: io ho compassione? Quando leggo le notizie delle guerre, della fame, delle pandemie, tante cose, ho compassione di quella gente? Io ho compassione della gente che è vicina a me? Sono capace di patire con loro, o guardo da un’altra parte o dico “che si arrangino”?
Non dimenticare questa parola “compassione”, che è fiducia nell’amore provvidente del Padre e significa coraggiosa condivisione”. •

Fabio Zavattaro

Rispondi