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“Abbiamo bisogno di aiutarci reciprocamente”

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Madre M. Cecilia: “Importante recuperare fiducia nel futuro. Ci è sempre data un’opportunità, anche di fronte a situazioni devastanti”

Altro che parentesi, il Covid continua a parlarci. Insiste nella sua non gradita permanenza in mezzo a noi. Impensabile, dunque, tornare alla società e alla Chiesa di prima. Ci è chiesto di ricostruire, anzi «costruire sognando» una nuova società e una nuova Chiesa. Di certo non possiamo dimenticare tre cose:

La piazza vuota di San Pietro

Non possiamo dimenticare Papa Francesco, il “dolce Cristo in terra” -secondo la bellissima espressione di Santa Caterina- attraversare, claudicante, la piazza vuota di San Pietro in una serata di pioggia per pregare per il mondo intero, davanti a quel crocifisso ligneo bagnato di pioggia e all’icona della Vergine Salus Populi Romani.
Il suo volto sofferente, implorante… un’aria strana, un silenzio quasi “pesante”.
Appiccicati alla TV, abbiamo seguito –passo passo- quel momento in cui “Mosé” alzava le braccia al cielo e noi con lui, come Cur ed Aronne, a sostenerlo… a distanza, ma all’unisono nei sentimenti!

Le bare sui carri

Come dimenticare l’angosciante fila di camion piene di bare?
Sconcertante scenario!
Il pensiero va ai morti senza un saluto, una carezza; alle famiglie nella morsa della sofferenza che vedono partire il loro congiunto “scomparso” , “sottratto” ai loro occhi e al loro affetto!
Non possiamo dimenticare!!!!

La lettera della bambina al virus

Folgorante la lettera che una bambina- più matura degli adulti- ha scritto al virus.

“Caro virus, per colpa tua non ho più visto il mio amico del cuore, i miei compagni di classe e il parco.
Mi hai privato dei giochi all’aperto, della bici… della scuola ma non dei compiti. Mi hai tolto la merenda con i miei compagni di classe e la ricreazione…
Mi hai letteralmente rinchiusa in casa, mi sono sentita in punizione come quando faccio arrabbiare la mamma… Ma nonostante ciò ti devo ringraziare.
Mi hai ridato i miei genitori. Adesso faccio colazione con loro, pranziamo e ceniamo insieme.
La mamma non è più nervosa e papà apparecchia e sparecchia, ed è più affettuoso con la mamma e con me. Adesso facciamo tante cose tutti insieme, e quando ognuno di noi termina i compiti giochiamo con il nostro cane. Anche lui è più felice e non morde più il telecomando per farci dispetto. lo dormo meglio, non vedo più i fantasmi e quando sono nervosa non mi scappa più la pipì a letto. Se ora vai via, io ti perdono… Ciao virus.” Lorenza

Sullo stile della lettera di Lorenza, anche noi, rivolgendoci al virus, potremmo dire: “Caro virus, riusciremo a custodire quello che abbiamo imparato in questo tempo così duro e faticoso? Riusciremo a custodire ciò che è essenziale, a distinguere tra ciò che ci disumanizza e quello che ci affratella, come veri figli di Dio? Se sarà così, se per noi non sarà una parentesi, allora insieme con Lorenza forse un giorno, se andrai via, ti potremo perdonare”.

Lorenza, ci ha insegnato a vedere il positivo nel caos di questi giorni: l’alfabeto degli affetti a casa sua!
Avere cura degli altri, in primis nel proprio ambiente familiare dal quale tante volte si scappa : lo abbiamo imparato? Ci guardiamo di più negli occhi? Ci accorgiamo della presenza degli altri di casa e del loro valore? Ci sorridiamo? Ci sono gesti di affetto e di premura?
È il momento di ripensare la vita e la morte, prenderci cura di noi e degli altri,
prendersi cura della casa, del corpo, degli affetti.
Siamo stati invece abitati dall’ansia di essere stati deprivati… non so di che. Un vuoto diventato insopportabile. Nei nostri ambienti ecclesiali si è parlato spesso di «clausura forzata» e raramente di «tempo di grazia», anche se nel dolore. Non siamo stati migliori degli altri. Deprivati, abbiamo cercato di riempire. Siamo passati dall’ansia di tanti impegni all’angoscia di giorni da “disoccupati”.
Ecco allora “pacchetti” in streaming e presenza sui social: celebrazioni, incontri e via dicendo, riempiendo gli spazi vuoti con dei pieni virtuali e non siamo stati capaci di stare davanti a noi stessi, misurandoci con il vuoto che ci invitava a fare verità su chi siamo, su quale Chiesa vogliamo essere, su cosa il Signore voglia dirci.
Anche noi siamo chiamati a discernere i segni dei tempi, a cogliere quale appello dello Spirito ci viene rivolto.
Quale trasloco profetico siamo costretti a fare? In cosa consiste l’essenziale che si riassume nella «Parola»? Non è forse l’AMORE, l’unica cosa che conta nella vita?
Una parola tanto banalizzata, ora improvvisamente importante e fondamentale in questo tempo di lutto degli affetti! Senza questa «Parola» non c’è vita, non c’è fede, non c’è speranza.

“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”
Haruki Murakami

Siamo una società senza speranza. Allora, occorre innanzitutto la fiducia.
Dare fiducia alla vita nasce soprattutto dalla fiducia in Dio!

“Siate lieti nella speranza,
costanti nella tribolazione,
perseveranti nella preghiera”
Rm 12,12

Le precedenti società, anche quella precedente la nostra della guerra e del dopo-guerra, vivevano il futuro come una promessa, come un’opportunità; pur avendo vissuto una crisi tremenda, si sperava in una rinascita, si aveva fiducia nel futuro.
Noi già prima del Covid non avevamo più fiducia nel futuro, anzi lo vedevamo come una minaccia.

Abbiamo bisogno di aiutarci reciprocamente a recuperare fiducia nel futuro: ci è sempre data un’opportunità, anche di fronte a situazioni devastanti.
Dobbiamo essere “contagiatori di fiducia, di gioia e speranza”: oggi più che mai ne abbiamo bisogno.

Diffondere ciò che Papa Francesco ama chiamare «il contagio della speranza» (Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020) con gesti di cura, affetto, gentilezza e compassione, più contagiosi dello stesso coronavirus.

A questo siamo chiamati oggi, per essere all’altezza dei nostri tempi.
Una persona è pensabile solo in relazione; e le relazioni sono vitali, non secondarie; non sono un optional, sono essenziali per vivere: siamo stati creati per essere in comunione!
Molto si discute se la società post-Covid sarà migliore di quella di prima, se sarà tale e quale o forse addirittura peggiore: sta qui la nostra “grinta” nel vedere ed intraprendere nuove strade, non dettate da rassegnazione, ma viste come svolte.

“Quando ci sentiamo affranti e deboli, tutto ciò che dobbiamo fare è aspettare. La primavera torna, le nevi dell’inverno si sciolgono e la loro acqua ci infonde nuova energia.”
Paulo Coelho

Aspettare come le vergini prudenti, fornite di olio nella lampada: un’attesa sapiente ed operosa!
La crisi sicuramente ci ha fatto scoprire che certe cose non erano poi così essenziali, ci ha liberati da certe pretese, ci ha insegnato ad essere più riconoscenti, ci ha fatto scoprire che nella società la capacità di relazione si era ridotta perché al primo posto c’erano le cose e non le persone.
Eravamo una società che viveva al di sopra delle proprie possibilità, esagerata nel consumo dell’energia rispetto alle forze del pianeta: siamo chiamati all’essenziale e alla condivisione!
Come ha notato Papa Francesco, «la solidarietà oggi è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione dalle nostre malattie interpersonali e sociali» è «una strada per uscire migliorati dalla crisi» (cfr. Udienza Generale, 2 settembre 2020)

“Si diventa fratelli quando si avverte che il dolore dell’altro ci tocca nel profondo, tanto da ospitarvi la sua fragilità e la sua speranza”
I. Punzi

Occorre curare la propria spiritualità, che va oltre il semplice «andare a messa».
La spiritualità è fatta di interiorità, di domande, di pensiero, di silenzio, di stupore. Se non la curiamo, la fede cristiana, pian piano, svanisce. I pozzi che ci nutrono e dissetano, capaci di portare acqua zampillante a tutti sono l’Eucaristia, la Parola, i fratelli, cioè la comunità.

Dobbiamo generare «non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a tutti»: “Una Chiesa in uscita”, come dice Papa Francesco.
Papa Francesco più volte ci ha detto, a iniziare dalla Evangelii gaudium, che non bisogna occupare spazi ma creare processi: aiutare le persone a camminare verso obiettivi comuni.

“La globalizzazione dell’indifferenza continuerà a minacciare e a tentare il nostro cammino… Che ci trovi gli anticorpi necessari della giustizia, della carità e della solidarietà” (…) “Non abbiamo paura – conclude – di vivere l’alternativa della civiltà dell’amore, che è “una civiltà della speranza: contro l’angoscia e la paura, la tristezza e lo scoraggiamento, la passività e la stanchezza”.
La civiltà dell’amore si costruisce ogni giorno, ininterrottamente. Richiede l’impegno di tutti. Essa presuppone, quindi, una comunità impegnata di fratelli” (Documento, Pandemia e fraternità universale)

Andrà tutto bene?
Senza l’impegno di tutti e il senso di responsabilità di ognuno, si rischia di non andare da nessuna parte.
Decidiamo allora come vivere in questo tempo, nella certezza che Dio è con noi e che- uniti- possiamo vincere! •

Madre M. Cecilia

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