Tante le persone bisognose di dialogo che, nel periodo del Covid, hanno cercato un contatto telefonico con le famiglie monastiche del territorio.
Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: «Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?».
«Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene.
Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre.
«Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese la giovane francese.
«Della rosa», rispose il poeta.
«Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all’umanità un significato spirituale, suscitare un’inquietudine dello spirito. È necessario che l’umanità venga irrorata dall’alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così» (Antoine de Saint-Exupéry).
(Bruno Ferrero, L’importante è la rosa)
Significativo il gesto del poeta Rilke più che mai attuale in questo tempo di pandemia. Profeticamente, il poeta mette in risalto le relazioni che vanno al di là di un bisogno materiale. La rosa ha restituito alla donna dignità: solleva il capo, apre gli occhi e guarda l’altro perché la rosa ha sortito l’effetto magico di rendere pari.
La mendicante non ha più bisogno di abbassare gli occhi, di nascondersi; si sente persona guardata, amata e vive di rendita per una settimana.
Si potrebbe dare un prosieguo al racconto, fantasticando, immaginando che a turno ci siano persone pronte a regalare la rosa ad una donna dal volto anonimo e renderla felice. Durante la pandemia del 2020, gli italiani sui balconi hanno cercato relazioni- scoprendone il valore ed il bisogno- con una creatività senza pari perché è iscritto nel DNA di ogni persona una “fame” di “RELAZIONI” nell’ambito della quale sovvenire- come si può- alle altrui necessità, in spirito di vera solidarietà.
Papa Francesco, fin dall’inizio del suo ministero petrino, ci ha esortato a non avere timore della bontà, della tenerezza (19 marzo 2013).
Non solo bontà, non solo amore, anche tenerezza. Che cosa aggiunge la tenerezza all’amore?
Il tocco del gratuito, un sorriso, una carezza … Noi siamo creati e guariti dalla tenerezza di Dio che ci abbraccia nella carne umanissima di Gesù e siamo inviati come messaggeri/messaggere della sua tenerezza.
“Oggi la gente – osserva Papa Francesco – ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene (…) La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone (…) ma solo dalla tenerezza e dall’amore di Cristo” (Omelia del 7 luglio 2013)
A partire dal proprio ambiente, dalla cura verso chi ci è accanto per poi passare alle relazioni esterne!
Possiamo davvero confermare ciò che dice il Papa perché davvero siamo prese “d’assalto” dalle tante telefonate- soprattutto in questo tempo difficile di pandemia- di persone bisognose di ascolto, di dialogo, di consegna dei loro affanni, di richiesta di preghiera. Pur nelle debite restrizioni, non manca la fantasia dello Spirito Santo che ci fa comunicare lo stesso, che fa incontrare dei cuori da un capo all’altro del telefono in un arricchimento reciproco.
In tempi normali, dialoghi anche “in presenza” o giorni trascorsi in monastero per ritrovarsi e ricaricarsi.
La vicinanza a tutti, fino ad arrivare ad aprire con la chiave della preghiera e dello scritto le porte del carcere e raggiungere quel fratello in particolare che è nel salutare tormento della coscienza.
Per ognuno c’è una “rosa” da donare , quel buon “profumo di Cristo” che avvolge nella speranza e risana. Per farsi carico occorre diventare simili a Gesù e lasciarci abitare dal suo Spirito per vedere le persone e le cose come le vede Lui, con il suo sguardo luminoso, con il suo fremito di compassione e la sua infinita tenerezza.
Il “fremito” del cuore fa allargare la vista e nel nostro piccolo anche a condividere ciò che la Provvidenza ci dona col sorriso che permette all’anima di respirare.
Il Monastero allora diventa “grembo” che accoglie e testimonia la tenerezza di Dio, come ci è stato confermato dai nipoti di una nostra cara consorella che da poco ha compiuto 99 anni.
Nel biglietto- pergamena che accompagna una bella pianta come dono, così le hanno scritto: “Alla nostra cara zia Sr. Giustina, buon compleanno(…)
A te che sei nostro faro e che con la vita ci hai fatto comprendere il modo di fare di Dio”. •
La Famiglia monastica Benedettina di Fermo
Leggendo le parole di Papa Francesco: “…di fronte a una sfida che non conosce confini non si possono erigere barriere. Siamo tutti nella stessa barca. Ogni persona è mio fratello. In ciascuno vedo riflesso il volto di Dio e in quanti soffrono scorgo il Signore che chiede il mio aiuto ” (Benedizione Urbi et Orbi, 25/12/2020).
Ci siamo sentite spronare a vivere con più intensità in questo lungo tempo di pandemia del Coronavirus. Come comunità monastica dopo un primo momento di smarrimento e di paura di fronte a questa grande tragedia che ha colpito non solo l’Italia, ma il mondo intero, ci siamo interrogate: che cosa possiamo fare? La parola di Papa Francesco era chiara: non isolamento e chiusura, ma farci carico, prenderci cura nel modo proprio della nostra vocazione. La risposta è stata:entriamo in pienezza nella nostra vita! L’Unione con Dio nella preghiera e in Lui la vicinanza forte con i malati, i medici, gli infermieri, tutto il personale sanitario, i sacerdoti malati e morti, i familiari dei malati, i bambini chiusi in casa… Abbiamo sentito tutti come fratelli nostri di cui farci carico ad esempio del Buon Samaritano nella parabola di Lc 10; con la preghiera, per chiedere la guarigione di ciascuno; saper dare conforto, forza nella lotta con il Virus. Concretamente abbiamo donato qualche Adorazione Eucaristica comunitaria in più e nella chiusura totale del lockdown abbiamo sperimentato la vicinanza con tutti i sofferenti e i malati. Alcuni nostri familiari sono stati colpiti dal virus anche in modo grave e ce l’hanno fatta.
Altri, amici, conoscenti, sacerdoti non l’hanno superato. Ci siamo sentite vicine e solidali con tutti, in una maniera unica, molto forte che ci ha fatto sperimentare la vera comunione che viene da Dio. Questa grande e sofferta esperienza ci ha fatto guardare alla nostra vita monastica con occhi nuovi, grate al Signore per il dono di questa vocazione che ci chiama a prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle. Egli ci invita a combattere il “virus” dell’individualismo e a mettere al di sopra di tutto la legge dell’amore l’unica che ci apre alla speranza che questo sogno si possa avverare.
Se io, tu, noi tutti iniziamo, certamente si avvererà. •
M. Stefania osb, Monastero “Santa Caterina v.m.” – Monte S. Martino
Stiamo vivendo, ormai da diversi mesi, una situazione che non può non interrogarci. Abbiamo sperimentato la distanza, gli incontri cancellati, la difficoltà del ritrovarci, il dover cercare modalità nuove per rimanere in contatto.
Abbiamo incontrato numerosi ostacoli che in un primo tempo ci hanno disorientato, ma poi ci siamo dette che era necessario non lasciarsi bloccare e cercare di superare la distanza che il distanziamento come norma per contrastare il virus imponeva, con un supplemento di ”attenzione”.
Attenzione vuole dire accorgersi e farsi carico dei passi, a volte faticosi, di chi vive accanto a noi o di chi incontriamo lungo i sentieri delle nostre giornate.
L’accoglienza, l’ascolto e la vicinanza non possono improvvisarsi, richiedono un cammino personale.
Solo se ci facciamo attenti alla Parola di Dio, ci lasciamo “invadere” dai sentimenti di Cristo, possiamo entrare in sintonia con lo Spirito che ci suggerisce gesti di unità che ci fanno superare le distanze e che abbattono le barriere.
In concreto, abbiamo vissuto questo tempo, facendo ancora di più della preghiera il punto focale e la sorgente per fare in modo che il silenzio e la distanza imposte dalla situazione fossero vissute con la consapevolezza di una vicinanza. Ci siamo sentite in qualche modo parte di tutto il dolore che i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo hanno dovuto affrontare. Attraverso il telefono abbiamo fatto sentire la nostra presenza ad alcune persone che nella loro carne hanno affrontato il combattimento con questo nemico terribile.
Il virus ha contribuito anche a creare situazioni di povertà e di disagio alle quali abbiamo cercato di rispondere, nei limiti delle nostre possibilità, donando insieme ai beni di prima necessità, una parola di comprensione, uno spazio di ascolto per ridonare speranza e far riprendere il cammino.
“Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”, è il monito di Papa Francesco che vorremmo divenisse la guida per proseguire in questo cammino faticoso. Una certezza ci sostiene: non siamo soli, sulla nostra piccola barca, in mezzo al mare in tempesta, il Signore è presente (apparentemente sembra dormire… ma c’è!). •
Monastero Benedettine “S. Caterina” S. Vittoria in Matenano
Nel nostro Monastero, abbiamo sempre l’occasione di accogliere la gente che ha bisogno di una parola di incoraggiamento ed anche di preghiere per i loro bisogni ma, dato che c’è in giro questa pandemia così pericolosa, si limitano solo a fare richieste di preghiere e aiuti spirituali per telefono. Anche finora c’è tanta gente affamata con la quale condividiamo quel poco di vitto che abbiamo e vanno via contentissimi. In questo mondo siamo tutti fratelli di un unico padre che è nei cieli. •
Monastero Benedettine, Monte San Giusto