Molti luoghi comuni sui giovani ne fanno un popolo di egoisti spesso irresponsabili, disattenti e sfaticati. Cinque ragazzi del nostro territorio (Grottazzolina, Montegiorgio e Monte San Pietrangeli) ci raccontano la loro esperienza di vita orientata nella direzione del prendersi cura…
Francesca si prende cura della propria formazione e crescita per poter stare accanto agli altri, Massimo e Lorenzo che nel lavoro e nel volontariato si prendono cura degli altri, di chi è più fragile, Dino e Matteo che, dando vita ad una consulta giovanile, si prendono cura della vitalità del loro Paese e dei bisogni delle persone che lo abitano.
Dalle testimonianze che seguiranno, non solo vediamo che i giovani sanno prendersi cura, o meglio a cuore, la propria formazione, la vita degli altri e quella dei rispettivi territori, ma anche assumersi gratuitamente responsabilità importanti nella vita della comunità. Dalle loro parole tocchiamo con mano che i nostri giovani hanno idee fresche, sogni importanti e voglia di futuro. I nostri giovani hanno testa per pensare, cuore per amare e mani da sporcarsi per dare forma alle parole di Papa Francesco “La solidarietà esprime concretamente l’amore per l’altro, non come un sentimento vago, ma come «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”.
MASSIMO TOSCANA, 23 anni, Monte San Pietrangeli
Ciao sono Massimo Toscana, ho 23 anni e da ormai 3 sono alla guida dell’AVIS Comunale di Monte San Pietrangeli; associazione, l’AVIS, che si occupa principalmente di garantire la disponibilità di sangue al Sistema Sanitario Nazionale.
Sono entrato nel mondo del volontariato appena maggiorenne, dapprima nella Pubblica Assistenza locale e successivamente nell’AVIS. A ciò ha contribuito sicuramente la dedizione della mia famiglia, impegnata in questo ambito, ma anche la voglia di mettermi alla prova e conoscere un “mondo” nuovo, quello del volontariato appunto, elemento fondante del nostro ordinamento, come i recenti fatti legati alla Pandemia hanno mostrato. Proprio con il ruolo che mi è stato affidato in AVIS, credo mi sia stata riconosciuta una grande responsabilità, ovvero quella di veicolare, soprattutto tra i miei coetanei, l’importante messaggio del dono e della solidarietà.
Ovviamente non è un compito semplice ma soltanto il costante impegno può portare in futuro a “raccogliere quanto si è seminato”.
Secondo la mia concezione, il dedicarsi alla cura degli altri è riuscire a ritagliarsi un piccolo lasso di tempo per mettersi a disposizione di chi purtroppo soffre e sta male. La donazione di sangue ne è un esempio: in sé potrebbe sembrare un piccolo gesto ma è in realtà qualcosa di molto più grande: con soli 10 minuti si possono salvare numerose vite umane. Ed è importante, affinché questo possa essere garantito, che quante più persone si avvicinino a questa realtà. Non c’è alcuna controindicazione nel farlo ( ovviamente se si è in buona salute e dopo che il medico del Centro Trasfusionale ha accertato l’idoneità) anzi, serve oltre che ad aiutare il prossimo, anche ad avere cura di sè stessi in quanto si è sottoposti periodicamente a scrupolosi controlli.
Alla domanda “perché fai volontariato e perché doni?” risponderei semplicemente perché mi fa stare bene e il solo pensiero di essere d’aiuto a chi soffre e salvare una vita umana fa passare, momentaneamente, in secondo piano tutti i pensieri e i problemi che caratterizzano la mia quotidianità. •
LORENZO LUPI, 29 anni, Monte San Pietrangeli
Ciao sono Lorenzo Lupi, tra poco trentenne e del ”servizio” ne faccio una ragione di vita. Fin da piccolo vengo instradato nel volontariato, con una famiglia già impegnata nel sociale, nel gruppo Scout, nei vari gruppi giovanili delle Associazioni di volontariato, nel comitato Venerdì Santo, nella stessa Avis, per la quale ho compiuto piu di 26 donazioni. Non ancora venticinquenne vengo eletto nel consiglio di amministrazione dell’associazione Volontari Soccorso di Monte San Pietrangeli e ne assumo la Presidenza nel 2016.
Una questa piccola realtà che si occupa h 24, 7 giorni su 7, del servizio di soccorso ed assistenza. Di professione faccio l’agente di polizia locale, il cosiddetto ”Vigile Urbano”, e sono necessariamente impegnato a servizio del prossimo, non solo come passione, ma anche come professione.
Svolgere un ”servizio” per me significa anche ”rendere”, “offrirÈ’. È così che reputo ci si possa prendere cura degli altri, offrendosi in maniera anche incondizionata. A volte mi succede che nel prendermi cura degli altri, dei cittadini che sono chiamato a servire, così come garantisce la stessa Costituzione, non riesco a prendermi cura di me, tralasciando a volte anche il mio di benessere fisico e morale, principio cardine per poter offrirsi agli altri.
Nello svolgimento delle mie incombenze lavorative mi è naturale avere un comportamento deputato all’altro. Sento che il mio lavoro è anche una vocazione. Poter offrire un pò di se stessi, per il bene di tutti, è comunque una risorsa per la società intera. Perché oltre al servizio che faccio attraverso il mio lavoro, mi spendo anche nel servizio nell’Associazione Volontari Soccorso? Posso dire perché lo faccio perché questo mi riempie il cuore.Sapere che dopo essere intervenuti in ambulanza per un soccorso, vedere che chi ha avuto necessità ravvisa un benessere dal nostro intervento, ricevere magari a stento un ”graziÈ’ o un sorriso, bè è lì che resto più appagato di qualsiasi altra ricompensa. Trovo fondamentale instaurare dei rapporti e perché no una nuova impronta di vita societaria basata sull’aiuto reciproco e sul principio della mutualità stessa.
Il volontariato, cardine del sistema dell’assistenzialismo nello stato italiano, arricchisce umanamente e psicologicamente chi lo pratica e nel mio caso, vedendo magari un numero sempre maggiore di ragazzi che si addentrano in questa realtà, oppure le manovre salvavita che conosciamo che vengono divulgate tra la gente, allora è lì che vedo che le fatiche profuse sono valse a qualcosa. •
DINO FIACCONI, 23 anni e MATTEO LACONI, 20 anni, Grottazzolina
Dino Fiacconi, 23 anni e Matteo Laconi, 20 anni, l’uno presidente e l’altro membro della Consulta giovanile del Comune di Grottazzolina.
Una realtà costituita di recente, che vede un gruppo eterogeneo di giovani del Paese mettersi insieme per pensare e progettare esperienze attraverso le quali prendersi cura, o meglio a cuore, il loro territorio e le persone che lo abitano. Quella di Dino e degli altri giovani della Consulta, è una scelta che nasce da un loro bisogno e dalla loro, seppur giovane, esperienza di vita.
Il bisogno è quello di rendere Grottazzolina un luogo che i giovani possano amare ed in cui restare. La scelta di impegnarsi nasce invece dalle loro molteplici esperienze, fatte individualmente e/o in altre realtà esistenti nel Paese. Esperienze in cui hanno incontrato altre persone, che a loro volta, avevano cura di altri e si spendevano per la loro crescita e per rendere migliore la vita della comunità. A Dino e Matteo abbiamo chiesto:
Che cosa significa per voi prendersi cura?
Le cose che amiamo fare richiedono sempre delle cure. A nostro avviso prendersi cura di qualcosa o di qualcuno è una forma meravigliosa di amore. Prendersi cura significa sempre avere la capacità di comprendere i bisogni e le necessità proprie e altrui, avere la volontà di assumersi un impegno e la responsabilità che determinati ruoli richiedono. Nel prendersi cura è molto importante la costanza che il ‘’prendersi cura’’ richiede.
Prendersi cura è partecipazione, anche emotiva. Uno dei sentimenti fondanti che ci spinge a fare qualcosa di buono per gli altri è la passione. La passione ci impone di scegliere fra ciò che andrebbe fatto e ciò che sentiamo di dover fare. Nel nostro caso ‘’prendersi cura’’ significa cercare di fare qualcosa di buono, anche se nel nostro piccolo, per ciò che riteniamo importante per noi.
Di che cosa o di chi vi prendete cura?
L’intento della Consulta Giovanile, organo consultivo facente parte dell’Ente comunale, è quello di occuparsi del territorio, in particolar modo di giovani e ragazzi. Le nostre iniziative sono quindi volte a prenderci cura del prossimo, inteso come individuo che è parte di una piccola realtà sociale come quella di Grottazzolina. La sfida ad impegnarsi per il territorio è proprio quella di prendersi cura di qualcuno o qualcosa di molto più grande del proprio io, non tangibile, e con il quale non si ha un contatto diretto. Allo stesso tempo, però, avere cura di questo significa anche impegnarsi a costruire qualcosa per i nostri amici, la nostra famiglia e le persone a cui vogliamo bene. In un tempo come quello che stiamo vivendo, prendersi cura dei giovani e dei ragazzi, una delle categorie più colpite dalla pandemia, significa anche provare a donare un po’ di luce e speranza al nostro futuro e a quello di tutta la società.
Perché lo fate?
In un mondo in cui la maggior parte dei giovani non riesce più ad interessarsi del proprio paese credo che noi giovani di Grottazzolina possiamo considerarci fortunati ad avere un luogo sia fisico, che ideale, in cui confrontarci. Ciò che ci spinge a far parte di questo tavolo di confronto è il senso di responsabilità che sentiamo di dover impiegare nei confronti del paese che ci ha cresciuti, cercando di impegnarci al massimo insieme agli altri ragazzi per il Bene comune. Un altro motivo che ci spinge ad intraprendere questa esperienza è il fatto che soffriamo nel vedere parte dei nostri coetanei disinteressati totalmente alla vita paesana e comunitaria.
Uno degli obiettivi che ci siamo posti, oltre al fatto di confrontarci, essere insieme e divertirci, è proprio quello di cercare di ricostruire quel senso di identità paesana che sentiamo essere svanita negli ultimi decenni anche a causa del repentino cambiamento in cui la nostra società va incontro.
Quale bene vedete crescere dal vostro impegno?
Dopo ogni iniziativa fatta insieme alla Consulta ci capita sempre di fermarci e cercare di capire cosa abbiamo imparato e cosa no da quell’esperienza e soprattutto se è stato fatto del bene per qualcuno attraverso quella determinata iniziativa. Il fatto di sapere che da quelle azioni ne hanno beneficiato alcune persone, anche in piccola parte, ci spinge sempre a fare altro ed a fare di più, accrescendo in noi l’amore verso il prossimo e verso il paese in generale.
Inoltre, sentirsi parte di un gruppo con il quale si condivide un’esperienza unica di partecipazione attiva alla vita sociale del paese, aumenta ancora di più la fiducia in sé stessi e negli altri, aiutando a non perdere di vista lo sguardo verso il futuro e verso il bene comune. •
“Nel servizio incontro Gesù”
FRANCESCA SBARBATI, 22 anni, Montegiorgio
La parola cura può essere facilmente ricongiunta al termine latino “cor, cordis” (cuore). Rappresenta infatti un interessamento premuroso che scalda, stimola il cuore, lo consuma per poi farlo rigenerare. Per me avere cura significa occuparmi attivamente e provvedere alle necessità di ciò che ho a cuore.
Sulla parete di alcune scuole in Italia è stato scritto in grande “I care” cioè “me ne importa, mi sta a cuore”. È il motto introdotto da Don Lorenzo Milani nella scuola di Barbiana. Significa anche “io ci sono” per le persone e per i volti che incontro ogni giorno e che passano nella mia vita, a volte senza nemmeno che me ne accorga.
Gesù ci chiama ad amare le persone, attraverso piccoli gesti e cure, a trasformare ogni nostro incontro in un’occasione di arricchimento e di condivisione.
Il prendersi cura implica anche essere direttamente responsabili. Responsabilità è capacità di aprire gli occhi, di leggere la realtà in cui viviamo per rispondere in maniera concreta a ciò che ci succede intorno. È accettare il rischio di sporcarsi le mani e cogliere ogni opportunità. È avere a cuore le storie di chi ci circonda, perché possano trovare la strada per una piena e personale realizzazione.
Occorre amare e apprezzare anche se stessi, rispondere attivamente agli input costruttivi che ci arrivano dall’esterno per imparare a crescere come singole persone e poi anche come comunità. Cristiano non è colui che celebra riti, ma colui che si fa trovare in casa dal Signore che lo interpella e risponde sempre “Eccomi”.
In ognuno di noi c’è una luce che brilla. Scoviamo questa fiamma, abbiamone cura e non permettiamo mai che si affievolisca, ma anzi, utilizziamola per riaccendere le fiamme spente di chi è vicino a noi. Una grande luce ci sarà utile per diventare uomini che esistono volentieri e che non si vergognano di esistere, uomini che amano, uomini che si offrono.
In tutti gli ambiti “I care” diventa allora un sinonimo di “per te ci sono”, “sono al tuo fianco”, “puoi contare su di me”, ma anche di “dovrei prendermi cura di me” e “dovrei lasciare che gli altri mi abbiano a cuore”.
Dovremmo essere quindi non solo i soggetti del verbo “curare, avere cura”, ma anche il complemento oggetto.
Oltre al contributo dovuto alla mia formazione scolastica (prima presso il Liceo classico “Annibal Caro” di Fermo, poi presso l’Università degli studi di Camerino), il gruppo scout Montegiorgio 1, frequentato fin dalla terza elementare, mi ha aiutato a comprendere e a rafforzare la Fede e a rimarcare l’importanza del prendersi cura degli altri (avendo a cuore soprattutto i compagni meno fortunati) e di se stessi. Mi ha sempre spinto ad andare avanti e, tra le tante cose, a capire meglio gli innumerevoli punti di vista, a prenderne consapevolezza per imparare sempre da ognuno, a sviluppare amore e curiosità per passioni che ancora oggi coltivo, come ad esempio la musica e la cucina, altre forme con cui ci si può prendere cura.
Prendersi cura di sé e prendersi cura degli altri sono per me due lati della stessa medaglia. Necessario sostegno e profumo della nostra vita sono gli altri. Le relazioni hanno bisogno delle nostre cure, di un impegno costante e reciproco, di essere rigenerate e resuscitate ogni giorno, non per convenienza, né per compassione, ma per scelta e per reciproca stima. Basta pensare al cambiamento di valore della parola “amico” che si è avuto tra ieri e oggi grazie ad Internet, per capire come i rapporti siano diventati facili e superficiali. Le relazioni somigliano sempre più al legame che abbiamo con le cose nella società dei consumi, dove tutto è usa e getta. Il prendersi cura di se stessi e degli altri spesso passa (purtroppo) da essere un impegno fondamentale ad essere un gesto scontato e trascurato.
Il prendersi cura di sé include la voglia di sapere e di informarsi, di essere critici, di saper discernere cosa è lecito da cosa non lo è, di diventare cittadini capaci di prendere decisioni per la vita e per il bene comune.
Per prendersi cura di sé bisogna mettersi in continua discussione, senza procrastinare, cercando di scoprire ed apprezzare sempre gli aspetti migliori di ogni cosa e di essere d’aiuto all’interno della comunità, perché il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri.
Ognuno di noi ha dei punti di forza di cui spesso non è neppure consapevole; dobbiamo sostenere e facilitare questa ricerca dentro di noi per valorizzare ogni nostro talento e potenzialità ed incrementarli con l’aiuto di Dio.
Ci si prende cura di sé con lo studio, con la cultura, con lo svolgimento di attività ricreative e di arricchimento, con la partecipazione a gruppi parrocchiali, ma anche con un’attenzione vera e costante alla propria Fede e alla preghiera.
Possiamo iniziare a prenderci cura di noi e degli altri a qualunque età, volendoci bene, nutrendo i nostri interessi, riservando una parte della nostra giornata al dialogo con il Signore, ma anche lasciandoci meravigliare leggendo un classico, guardando un dipinto o ascoltando una sinfonia. Anche questi sono, infatti, frutti di chi ha voluto prendersi cura del prossimo, segnando la propria impronta nella storia del mondo, indelebile, per donare un’emozione a tutti.
Prendersi cura di sé e degli altri vuol dire anche prendersi cura di ciò che ci circonda, dell’ambiente in cui viviamo. Tutto in natura è caro agli occhi di Dio, che offre all’uomo il creato come dono prezioso da custodire. Tragicamente, la risposta umana al dono è stata segnata dal peccato, dalla cupidigia di possedere e di sfruttare. Egoismi e interessi hanno fatto del creato, da sempre luogo di incontro e di condivisione, un teatro di rivalità e di scontri. Alla radice, abbiamo dimenticato chi siamo: creature a immagine di Dio, chiamate ad abitare come fratelli e sorelle la stessa casa comune. Non siamo stati creati per essere individui che padroneggiano, siamo stati pensati e voluti al centro di una rete della vita costituita da milioni di specie. È questo il tempo per riflettere sui nostri stili di vita e su come le nostre scelte quotidiane in fatto di cibo, consumi, spostamenti, utilizzo dell’acqua, dell’energia e di tanti beni materiali siano spesso sconsiderate e dannose. I giovani ci ricordano che la Terra non è un bene da sciupare, ma un’eredità da trasmettere, che sperare nel domani non è solo un sentimento, ma un compito che richiede azioni di cura concrete oggi. Sentiamoci coinvolti e responsabili nel prendere a cuore, con la preghiera e con l’impegno, la cura del creato.
È ora che ognuno di noi diventi portavoce dei valori a lui tramandati e risponda alla vocazione, alla chiamata di Dio alla vita.
Disponibili all’ascolto, all’accoglienza, al confronto dovremmo fare degli incontri che la vita ci riserva una matassa di intrecci umani che ci arricchiscono come persone e come popolo.
È la cura che ho ricevuto fino ad oggi da parte di chi mi ha e di chi mi ha avuto a cuore, che fa nascere in me il desiderio di rendere un servizio, di avere a cuore a mia volta la comunità tutta. Ho bisogno di dare una mano, di restituire l’amore. Non è per dovere ma perché è il modo che scelgo per amare tutte le donne e gli uomini cittadini del mondo, perché nel servizio incontro Gesù e ciò mi dà una gioia profonda.
Per la mia vita sto piantando i semi dei miei sogni: spero che con tanta passione, con il necessario sacrificio e con l’aiuto di Dio io riesca a creare un giardino fertile: desidero cioè continuare a prendermi cura di me, coltivare i miei lati migliori per diventare una persona soddisfatta ma soprattutto accogliente nell’amore. Siamo nati da un dono e cresciamo donandoci, non conservandoci. Vorrei che l’amore per la vita guidasse tutti i passi di questo mio viaggio qui sulla Terra. So di avere un grande compagno di viaggio, so che Dio mi cammina accanto dovunque io vada e nei giorni più difficili mi prende in braccio.
Oggi mi sento utile, senza la pretesa di essere indispensabile.
Oggi mi sento una nomade che vuole camminare lungo sentieri che la Provvidenza ha tracciato per lei.
Che ogni giorno sia il punto di inizio per tutti noi, affinchè saliamo sui tetti delle nostre case per cambiare punto di vista, per trasmettere la bellezza della vita e per concorrere a costruire il bene comune.
Il mio augurio è che io possa continuare, con l’aiuto di Dio, a prendermi cura di me e degli altri, della mia crescita e della mia formazione, che io possa sempre mantenere la Promessa di Scout, trasmettere la voglia di partire e rischiare la strada, di aiutarsi e rispettarsi gli uni gli altri, di prestare servizio incondizionatamente, di essere testimone del Vangelo di Cristo e della bellezza del suo amore, di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato, di testimoniare sempre che i fiori più veri, come le relazioni, non sono quelli di serra.
Citando Madre Teresa, “Se non puoi essere il sole, sii una stella. Ma sii sempre il meglio di ciò che sei.”
Prendersi cura di sé e degli altri (e non solo) è l’unico modo che ha l’uomo per interrompere la strada verso il regresso, per distinguersi e per sviluppare una positiva attenzione e un interesse verso il mondo. È necessario rendersi conto di che cosa fa, sente e vuole l’altro e autoregolare e organizzare i propri comportamenti, senza scadere però nell’egoismo. •